mercoledì 18 novembre 2009

Newsletter - n. 43

Vorrei anzitutto ringraziare tutti i presenti al convegno sulla caduta del Muro di Berlino, svoltosi sabato 7 novembre. Avrete potuto senz’altro apprezzare l’alto livello culturale delle relazioni (tutti i relatori si sono presentati con un testo scritto, compreso il Presidente Formigoni, senza una nostra richiesta) ma anche e soprattutto il desiderio di approfondire e comprendere sempre meglio un passaggio cruciale della nostra storia recente, che ha e avrà ripercussioni epocali nella storia europea. Per chi non avesse potuto partecipare saranno disponibili le relazioni scritte, che verranno pubblicate su Cristianità (richiedetele, se desiderate).

Anche la presentazione del libro di Cristopher Dawson, il sabato successivo, ospiti del Cif di Milano, ha avuto un ottimo risultato grazie alla profondità del vescovo mons. Luigi Negri e del nostro reggente nazionale Giovanni Cantoni. Credo che la traduzione italiana di questo libro sulla genesi storica della crisi della cristianità occidentale sia un importante evento culturale perché offre a chi lo legge una chiave di lettura del tempo presente, scritta da uno dei principali storici e apologisti cattolici del secolo scorso. Mi permetto di consigliarlo soprattutto ai professori di storia e filosofia e di lettere, oltre che a tutti coloro che vogliono capire la nostra epoca.
Sabato e domenica prossimi, a Roma, si celebrerà un’altra importante ricorrenza per la storia di Alleanza Cattolica: sarà infatti presentata all’Augustinianum, in piazza san Pietro, l’edizione del cinquantenario (1959-2009) di Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, l’opera di Plinio Correa de Oliveira alla quale si deve molto della formazione che abbiamo ricevuto.
Mentre ringraziamo il Signore della storia e la Vergine di questi avvenimenti importanti e lieti, devo registrare una notizia triste e grave. Si tratta della campagna contro l’omofobia lanciata dal Dipartimento delle pari opportunità per iniziativa del ministro Mara Carfagna, per ripresentare in Parlamento entro sei mesi una legge analoga a quella felicemente dichiarata incostituzionale nello scorso mese di ottobre dalla Camera dei deputati. L’iniziativa è un’evidente tentativo di “sdoganare” l’ideologia di genere introducendo una legislazione che privilegia, quasi come una specie protetta, gay, lesbiche, bi e transessuali, introducendo un’aggravante di reato nei loro confronti: per rendersene conto basta guardare la conferenza stampa del ministro sul sito del Dipartimento www.pariopportunita.gov.it
Spero ci saranno iniziative nei prossimi giorni su questo punto che non mancheremo di segnalarvi.
Marco Invernizzi


C. Dawson, La divisione della cristianità occidentale, a cura di Paolo Mazzeranghi, D’Ettoris, € 19,90
Plinio Correa de Oliveira, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, presentazione e cura di Giovanni Cantoni, Sugarco, € 25
Entrambi potete richiederli a
info@libreriasangiorgio.it

giovedì 15 ottobre 2009

Newsletter - n. 42

Omofobia

Come avrete saputo la Camera dei deputati ha affossato il 13 ottobre il progetto di legge sull’omofobia. Se fosse passato, come in quasi tutti i Paesi europei, avrebbe introdotto un’aggravante relativa all’orientamento sessuale per tutti i reati contro la persona, in pratica violando l’uguaglianza giuridica dei cittadini. Picchiare un omosessuale dichiarato, un gay, sarebbe stato sanzionabile in modo più grave che picchiare un eterosessuale. Si sarebbe poi potuto configurare l’ipotesi del reato di opinione per tutti coloro che avessero affermato l’esistenza di una identità sessuale e di un progetto divino in seguito a tale identità: in pratica, leggere in pubblico la Bibbia o il Catechismo della Chiesa Cattolica avrebbe potuto portare in galera. Potrà sembrare assurdo, ma in Svezia è già accaduto.
Quanto avvenuto è una sconfitta per il processo di scristianizzazione dell’Italia. La legge proposta dall’on. Paola Concia, l’unica parlamentare dichiaratamente omosessuale, è stata dichiarata incostituzionale su proposta dell’Udc ed è stata votata dalla “maggioranza della maggioranza”, con la significativa eccezione di nove deputati “finiani” che hanno votato contro il Pdl e di altri della maggioranza, fra cui l’on. Bongiorno, che si sono astenuti. Ha votato con la maggioranza anche l’on. Binetti, ed il fatto merita di essere sottolineato, anche perché il segretario del suo partito, Franceschini, ha detto che la sua permanenza nel Pd costituisce un problema. L’evento conferma che quando alcuni deputati si danno da fare per i principi non negoziabili (vedi l’appello contro l’approvazione della legge pubblicato dai giornali del giorno precedente la votazione, primo firmatario Mantovano) possono accadere ottimi risultati, anche oltre le aspettative. Non basta infatti la mobilitazione di movimenti e associazioni, soprattutto cattolici e soprattutto tramite internet, se qualche parlamentare non riesce poi a trasformarla in concretezza legislativa (in questo caso di affossamento di una proposta di legge).
Tuttavia è stata vinta una battaglia, ma la guerra continua. E per raggiungere altri successi bisogna stare all’erta, essere pronti e preparati. In gioco non c’è la supremazia di un partito o di uno schieramento, ma l’identità di un popolo, la permanenza nelle sue radici. Stupisce, a questo proposito, la scarsa attenzione di parte del mondo cattolico, se si eccettuano le sue sentinelle, che si sono efficacemente mobilitate soprattutto su internet. Infatti il Magistero ha attirato l’attenzione sul tema, anche dopo la pubblicazione dell’importante documento della Congregazione per la dottrina della fede il 31 maggio 2004. Certamente il tema è delicato e apre o riapre antiche ferite, anche all’interno del corpo ecclesiale. Ma i problemi si affrontano e non si può sempre e soltanto rimandarli, pena incontrare poi problemi irrisolvibili.
L’evento ha anche un significativo aspetto politico. I deputati “finiani” sono stati costretti dal voto pubblico a venire allo scoperto e a farsi contare: sono stati nove a votare a favore della legge Concia più altri che si sono astenuti. I loro nomi li potete trovare sui vari giornali che li hanno pubblicati, attraverso internet. Bisogna ricordarli, perché in questo caso non si è trattato di opinioni diverse sulla conduzione del Pdl, ma di un tema di principio, assolutamente non negoziabile. In pratica, la loro posizione diversa ha assunto un connotato ideologico preciso e questo va fatto notare. Così come va fatta notare positivamente la posizione dell’on. Binetti, che ha votato con la maggioranza: che si stia incamminando verso l’uscita dal Pd è possibile, forse anche probabile dopo le dichiarazioni del segretario on. Franceschini. Quest’ultimo è un caso: per uno che ama (ancora?) definirsi cattolico, appare stupefacente l’ardore con cui sposa sempre le posizioni più laiciste, sempre inconfondibilmente opposte alle indicazioni del Magistero. Quest’ultimo, per un cattolico adulto, probabilmente è ininfluente, ma il caso rimane singolare.
C’è anche un caso giornalistico. Riguarda il quotidiano che preferisco e leggo sempre per primo, il Foglio. Mi chiedo: possibile che un direttore così sensibile sui temi della vita, capace di ingaggiare battaglie memorabili come quella su Eluana, non veda almeno la parentela nel caso dell’ideologia di genere? Un uomo come Giuliano Ferrara, così attento all’insegnamento della Chiesa e di Benedetto XVI in particolare, non si renda conto della posta in gioco e creda (come il sindaco di Roma) nella minaccia rappresentata da picchiatori di omosessuali che girano liberamente per le strade d’Italia a caccia di “sessualmente diversi”? E non si renda conto di come sia in gioco l’ultima differenza, quella sessuale, le cui conseguenze sociali si vogliono negare per mettere in discussione la complementarietà dei sessi, e dunque il significato del matrimonio? Non vorrei farla troppo difficile, ma Ferrara capirà perfettamente che siamo di fronte al delirio gnostico che afferma che Dio ha sbagliato a creare l’uomo maschio e femmina, e dunque bisogna correggerlo in corso d’opera.
Da alcuni anni un gruppo di professionisti (www.obiettivo-chaire.it) accoglie a Milano persone che hanno problemi di identità sessuale, spesso un’omosessualità indesiderata frutto di una adolescenza trascorsa in una famiglia problematica. Questa esperienza lascia trasparire in modo evidente come esista una natura, un progetto divino originario su ogni persona, che a volte per diverse ragioni può incontrare difficoltà ad esplicitarsi. Il rimedio non sta mai nell’accusare l’Autore della natura o nell’assecondare qualunque “desiderio” del soggetto problematico, ma nell’accompagnare quest’ultimo verso il ritrovamento dell’equilibrio perduto. I movimenti gay disprezzano tutto questo accusando la “terapia riparativa”, ma la realtà, e le richieste di molti fra queste persone, affermano il contrario.

Marco Invernizzi

Per approfondire si può leggere il Quaderno del Timone di Roberto Marchesini, L’identità di genere (info@iltimone.org; tel. 0269311174) con tutte le indicazioni dei testi del Magistero.

mercoledì 9 settembre 2009

Newsletter - n. 41

Questa estate è stato in Honduras un giornalista del settimanale Tempi, Rodolfo Casadei, che ha prodotto numerosi servizi sulle vicende accadute in quel Paese dopo il 28 giugno scorso. Si tratta di avvenimenti sui quali si è verificata una pressoché totale disinformazione e quindi vi prego di non smettere di leggere queste mie parole o, meglio, di leggere gli articoli che vi segnalerò alla fine del mio testo.
Come sapete, il 28 giugno scorso il Presidente della Repubblica Manuel Zelaya è stato portato all’estero dai militari e sostituito provvisoriamente con il Presidente del Parlamento, Roberto Micheletti, eletto da quest’ultimo organismo. Tutta la stampa mondiale ha scritto di un colpo di Stato militare.
In verità Micheletti è un imprenditore e uomo politico dello stesso partito dell’ex Presidente Zelaya, il partito liberale, figlio di immigrati bergamaschi, eletto alla Presidenza del Paese fino alle prossime elezioni (29 novembre) e all’insediamento del nuovo Presidente (gennaio 2010). Dopo lascerà l’incarico provvisorio. L’ex Presidente Zelaya, infatti, aveva indetto un referendum per modificare la Costituzione in modo da poter essere rieletto alla guida dell’Honduras, ma illegalmente perché solo il Parlamento avrebbe potuto farlo: il Presidente che prendesse questa iniziativa, in base alla Costituzione sarebbe ipso facto esautorato. E così è accaduto, perché il Capo di stato maggiore si è rifiutato di eseguire l’ordine di Zelaya di organizzare la logistica della consultazione elettorale e il Tribunale supremo di sovrintendere al voto, mentre la Corte suprema ha sentenziato che il referendum è incostituzionale e ha chiesto alle forze armate di fare rispettare la legge. Queste hanno arrestato Zelaya, mentre il Parlamento eleggeva capo provvisorio dello Stato appunto Micheletti.
Tutto questo succede il 28 giugno e nei giorni successivi. Il mondo diplomatico e la stampa internazionale annunciano invece che si è verificato un colpo di Stato e soltanto Israele e Taiwan, a tutt’oggi, hanno riconosciuto il nuovo Presidente dell’Honduras. Fanno eccezione il cardinale arcivescovo di Tegucigalpa Óscar Rodríguez Maradiaga e i vescovi del Paese che, prima hanno condannato come illegale il tentativo di Zelaya di indire il referendum che gli avrebbe permesso la rielezione cambiando la Costituzione, e poi ne hanno giustificata la deposizione, limitandosi a criticare la deportazione all’estero (anche se forse sarebbe stato trattato peggio in un carcere interno al Paese).
Dietro Zelaya c’è senza dubbio il Presidente del Venezuela Ugo Chávez, l’uomo forte dell’America Latina che è riuscito a costruire un cartello socialista di Paesi, l’Alba (Alleanza Bolivariana delle Americhe) composto da Venezuela, Bolivia, Ecuador, Cuba, Nicaragua, Antigua, Dominica e Honduras). Zelaya infatti era stato eletto Presidente come esponente di un partito moderato, ma successivamente si è spostato sulle posizioni di Chávez ricevendo in cambio petrolio a condizioni di favore, crediti e trattori, e imparando dal suo protettore venezuelano (che in questi giorni è stato ricevuto come una star al Festival del cinema di Venezia, acclamato come icona antioccidentale accanto a Oliver Stone dai comunisti a Forza Nuova) a tentare di piegare le istituzioni rappresentative ai propri fini, per diventare “legalmente” un dittatore a vita, come sta diventando il Presidente venezuelano. Grazie a Dio in Honduras qualcuno si è opposto. Ma bisogna aiutarlo.
Marco Invernizzi

Per approfondire
Rodolfo Casadei su Tempi (
www.tempi.it): “Se questo è un golpe” del 7 luglio; “Honduras, cronache da un golpe tv” del 28 luglio; “Zelaya ci ha resi più poveri” del 28 luglio; “Honduras, intervista a Roberto Micheletti. ‘Io, partigiano anti- Chávez’ “ del 5 agosto.
Glauco Maggi, "Di origini italiane il nuovo capo di Stato. L'Honduras si ribella al golpe alla Chavez e manda in esilio il suo presidente", in Libero del 30 giugno.

venerdì 28 agosto 2009

Newsletter - n. 40

Medjugorje
Quando nel 1989 cominciai a collaborare con Radio Maria, una delle prime cose che il direttore padre Livio Fanzaga mi disse fu inerente a padre Tomislav Vlasic, che già da anni si era allontanato da Medjugorje per venire in Italia, dove aveva fondato una nuova comunità. Era in odore di eresia e certamente non aveva più nulla a che fare con Medjugorje, i veggenti e le apparizioni.
Oltre vent’anni dopo i mass media ci presentano la sua riduzione allo stato laicale da parte della Chiesa (per motivi che nulla hanno a che fare con le apparizioni) come un giudizio con cui quest’ultima condanna le apparizioni: “leggere per credere” l’articolo di Bruno Bartoloni sul Corriere della Sera del 30 luglio. Naturalmente, il quotidiano pubblica a fianco una intervista a padre Livio che sostiene il contrario di quanto affermato dall’articolista, ma l’idea che “passa” è che la Chiesa ha condannato le apparizioni di Medjugorje condannando il direttore spirituale dei sei veggenti. Pazienza se quest’ultimo non lo è mai stato e non li vede da 23 (ventitre) anni. Così si fa, più o meno coscientemente, la disinformazione.

Per tentare di rimediare parzialmente al danno provocato da questi articoli e per aiutare a capire le persone che mi hanno chiesto spiegazioni, riporto l’intervento di padre Livio apparso sul sito di Radio Maria, che fornisce tutte le chiarificazioni utili per comprendere quanto accaduto.
Le apparizioni di Medjugorje sono un fenomeno straordinario da un punto di vista quantitativo perché milioni di persone vi hanno ritrovato la fede e la pratica cristiana, soprattutto quella del sacramento della confessione. Naturalmente rimarranno una rivelazione che non obbliga il comune fedele, anche quando fossero riconosciute dalla Chiesa. Ma non cogliere il disprezzo verso la fede vissuta che si nasconde dietro tanti interventi “contro Medjugorje” (anche da parte di cattolici progressisti e cosiddetti tradizionalisti), mi sembra sciocco.

Marco Invernizzi

Cari amici,
la superficialità, mista a mala fede, cui con i mass media hanno sollevato l'ennesimo polverone su Medjugorje, mi obbliga, come studioso e testimone del fenomeno, oltre che come servitore inutile della Regina della pace, a fare alcune precisazioni per iscritto, dopo averle fatte al microfono
Il documento (riservato) della riduzione alla stato laicale dell'ex francescano ( concessa su sua richiesta) è stata messo sul nostro sito internet già dal marzo 2009. L'ex francescano con la sua comunità era sotto inchiesta da parte della Chiesa dal 1988. Dopo la sospensione a divinis (2008) è arrivata la riduzione alla stato laicale (2009). Se non ottempera ad alcune disposizioni della S. Sede potrebbe un domani arrivare la scomunica. ( I Documenti ufficiali sono tutti pubblicati nel nostro sito internet).
Ciò che la S. Sede contesta all'ex francescano non sono le sue attività pastorali a Medjugorje, dove ha svolto, con altri frati, l'ufficio di coadiutore parrocchiale ( non quindi di parroco ) dall'autunno 1981 al settembre 1985, ma le sue attività in Italia, dal 1988 al 2008, quando lui ha dato vita a una sua personale comunità religiosa.
Nei tre anni e mezzo che è stato a Medjugorje l'ex frate ha svolto un'attività parrocchiale centrata soprattutto su un gruppo di preghiera giovanile, al quale però non hanno mai partecipato i sei veggenti, eccezione fatta per Marija, che partecipava sia al gruppo parrocchiale sia a quello guidato direttamente dalla Madonna mediante il veggente Ivan.
Infatti la Madonna, a partire dal 1982, si è formata lei stessa un gruppo che guidava personalmente mediante due apparizioni straordinarie alla settimana. A tale gruppo di preghiera, guidato dalla Madonna, partecipavano numerosi giovani e tre veggenti: Ivan, Marija e Vicka. Ivanka e Jakov non partecipavano a nessun gruppo. Tale gruppo è tuttora operativo.
E' quindi un'affermazione che non corrisponde alla verità sostenere che l'ex frate sia stato la guida o l'assistente spirituale dei veggenti. Non è corretto neppure metterlo in rapporto col "fenomeno Medjugorje" dal momento che vi manca da 23 anni.
Egli non ha mai ricoperto l'ufficio nè di guida spirituale, nè di assistente spirituale, nè di confessore dei sei veggenti. Più tardi la sola Marija P. si è scelta un direttore spirituale nella persona di Fra Slavko.
Colui che i mass media chiamano disinvoltamente la guida o l'assistente spirituale dei sei veggenti, in realtà, a partire dal 1985 fino all'attuale provvidenziale condanna, ha cercato di sosituirli con altre veggenti che egli si era associato alla guida della sua comunità.
Al riguardo il P. Provinciale dei Francescani di Erzegovina. Dr. fra Ivan Sesar - ha affermato: "Questo provincialato non ha mai raccomandato né nominato alcuno come guida spirituale dei ragazzi. Penso che nemmeno i parroci di Medjugorje abbiano mai avuto questo mandato di essere guida spirituale dei veggenti. Il fatto è che alcuni frati erano loro confessori, avevano con loro e le loro famiglie un rapporto amichevole e questo si può capire. Chi è amico di chi, oppure chi è la guida spirituale, dovete chiederlo voi stessi ai veggenti. In questi giorni si è potuto leggere nei media che alcuni dei veggenti lo hanno negato categoricamente" ( Dal quotidiano croato Vecernji list - 14-09- 2008).
La verità è che l'ex frate si è presentato da se stesso, in una lettera del 1984 a Giovanni Paolo II, come la guida spirituale dei veggenti. Egli si è autonominato tale, nell'illusione di influenzarli, salvo poi a sceglierne altri di suo gradimento.
I veggenti di Medjugorje, come i due bambini di La Salette, come Bernadette, come i veggenti di Fatima, ecc...hanno avuto ed hanno nella Madonna la loro guida. Infatti dopo 28 anni di apparizioni sono dei bravi cristiani che non hanno mai deviato dalla fede.
Padre Livio Fanzaga


Newsletter - n. 39

Segnalazione libro
E' uscito un libro importante di Gianni Baget Bozzo e Pier Paolo Saleri, Giuseppe Dossetti. La Costituzione come ideologia politica, edito da Ares. Ve ne propongo una recensione con alcune mie considerazioni.

L’opera di Baget Bozzo e Saleri contribuisce a rispondere a una domanda importante che non può essere sfuggita all’osservatore attento della storia italiana e di quella dei cattolici in particolare. E’ una domanda inerente alla Costituzione e al ruolo metapolitico che essa ha assunto in alcune figure importanti della storia del movimento cattolico, come appunto Dossetti e sulla sua scia altri, come il Presidente emerito della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro. Perché il monaco Dossetti uscì dalla sua comunità nel 1994 per fondare i comitati in difesa della Costituzione minacciata, a suo dire, dal pericolo della “discesa in campo” di Silvio Berlusconi? Perché ancora nei mesi scorsi si è verificata una rivolta di intellettuali alla sola ipotesi di una modifica di alcune parti della Costituzione? Perché ancora, una figura che nulla ha a che fare con la storia del movimento cattolico come il Presidente della Camera Gianfranco Fini ha recentemente rilanciato l’ipotesi di un “patriottismo costituzionale” per restituire un’identità agli italiani dei nostri giorni? Una Costituzione è la fonte dei princìpi che evoca oppure ne è soltanto la portavoce ed è l’organizzazione politico-giuridica del corpo sociale attorno a quei valori recepiti dal testo costituzionale?

Il libro in questione contribuisce a fare riflettere sul punto. Esso è opera a due mani e rappresenta l’ultima fatica di don Gianni Baget Bozzo, il sacerdote teologo e politologo scomparso l’8 maggio scorso che ha scritto la prima parte (Costituzione & politica), mentre la seconda (Il monaco “Principe”), più corposa, è opera di Pier Paolo Saleri, studioso della storia del movimento cattolico e protagonista, in particolare all’interno del Movimento Cristiano dei Lavoratori. Entrambi mettono al centro dei loro scritti la figura di don Dossetti e il suo particolare rapporto con la Costituzione.
La biografia culturale e politica di don Dossetti nasce all’interno del regime fascista e si arricchisce nel rapporto con l’Università Cattolica guidata dal rettore padre Agostino Gemelli. Entrambe le circostanze sono importanti nella formazione culturale del futuro vicesegretario della Dc. Infatti, una delle principali caratteristiche del pensiero di don Dossetti sarà l’importanza che attribuirà allo Stato nella costruzione della societas christiana, posizione che lo porterà al contrasto all’interno della Dc con quella non statalista e per certi aspetti liberale di Alcide De Gasperi. Il suo pensiero nasce dal tentativo di dare una risposta alla crisi della cristianità e al rapporto di quest’ultima con il mondo moderno, lo ricorda Saleri all’inizio del suo saggio, forse non approfondendo a sufficienza le differenze con il pensiero contro-rivoluzionario. La crisi viene percepita come una colpa assoluta dell’ideologia liberale e capitalista, secondo uno schema che si diffonde nel movimento cattolico intransigente già alla fine del secolo XIX. La Rivoluzione non viene interpretata come un processo, ma si attribuiscono al socialismo antiliberale elementi di positività e quindi un’opportunità anche per le forze cattoliche. Da qui nasce all’interno del movimento cattolico intransigente la posizione favorevole all’alleanza con i socialisti in funzione antiliberale e anticapitalista (tipica è la posizione di don Davide Albertario), che in qualche modo viene ripresa da padre Gemelli e che lo fa guardare con una certa simpatia, e per un certo periodo, anche al fascismo, per le sue potenzialità antiliberali.
Dossetti recepisce questa cultura della crisi e pensa di poterne uscire attribuendo allo Stato una funzione centrale, quasi volontaristica. L’esperienza della Resistenza e dell’Assemblea Costituente, poi, rappresentano il contesto politico e ideologico in cui questa cultura tende a prendere corpo, a realizzarsi. L’esito è la Costituzione della Repubblica che entra in vigore il 1° gennaio 1948. Essa non è per Dossetti soltanto il “vestito” della società uscita dall’esperienza del fascismo e ritornata all’esercizio delle libertà, ma qualcosa di molto più importante. E’ l’espressione della collaborazione fra le due grandi ideologie anticapitaliste, il cattolicesimo democratico antiliberale e il comunismo. Esse sono in competizione fra loro ma devono collaborare per “liberare” la società dalle ingiustizie provocate dal capitalismo. E lo Stato deve essere lo strumento per realizzare questa “giustizia”, secondo lo schema “virtuoso” che ricorda l’esperienza di Robespierre e del giacobinismo durante la Rivoluzione francese. In questa prospettiva culturale, la Costituzione è qualcosa di più del popolo che l’ha votata attraverso i suoi eletti in Parlamento: essa ha, per rubare le efficaci parole del magistrato Gherardo Colombo riportate da Saleri (p. 245), “la stessa funzione che in passato svolgeva il diritto naturale: come allora le leggi venivano considerate giuste (o ingiuste) a secondo della loro coincidenza (o del loro contrasto) con il diritto naturale, così oggi esse sono legittimate dalla conformità alla Costituzione”. Nasce così quello che Saleri definisce il costituzionalismo autoritario, cioè la superiorità della Costituzione sulla democrazia.
Questa posizione sta alla base della corrente di sinistra che Dossetti guida all’interno della Dc e alla quale appartengono i “professorini” della Cattolica, Fanfani e Lazzati, oltre a La Pira. Essa si oppone a De Gasperi e agli ex appartenenti al Partito Popolare che con lo statista trentino guidavano il partito, accusati di non costruire con lo Stato la società “giusta” e di aver interrotto la collaborazione con le sinistre piegandosi alle richieste americane e vaticane e dando l’economia in mano ai liberali, ma ancora di più si oppone ai Comitati Civici di Luigi Gedda. Quest’ultima posizione, che poi è quella di papa Pio XII, vorrebbe anch’essa la costruzione di una società ispirata al Vangelo e al diritto naturale, ma senza concessioni e collaborazioni con le sinistre, ritenute ben più inaffidabili e liberticide delle forze liberali e di quelle di destra. Nell’analisi delle tre posizioni allora presenti nel mondo cattolico evidenziate nel libro, forse quest’ultima avrebbe meritato maggiore spazio e attenzione, perché essa è stata sopraffatta sia dai dossettiani sia dagli ex popolari, che non sopportavano la presenza di una sorta di “sindacato” degli elettori cattolici che in qualche modo controllava l’operato del partito, ma poi storiograficamente non ha più avuto difensori, tanto da essere oggi assolutamente sconosciuta o, peggio, fraintesa: è stato scritto con realismo che i Comitati Civici sono stati un fenomeno che non conosce ancora nessuna rievocazione interpretativa, se non quella iniziata nel libro da me curato per la stessa editrice Ares, 18 aprile 1948. L’”anomalia italiana”.
In questa prospettiva, Dossetti partecipa con scarso entusiasmo alla battaglia delle elezioni del 18 aprile 1948 perché ne coglie il ruolo decisivo dei Comitati Civici e l’inevitabile esito anticomunista. Proprio questo esito lo porta a concludere che è impossibile riformare la società attraverso la politica, in quel frangente storico, perché soltanto un’azione culturale e religiosa, che porti alla “riforma” della Chiesa e del mondo cattolico, potrà anche avere effetti sulla politica. Nasce così la decisione di abbandonare la politica per dedicarsi prima alla fondazione dell’Istituto di Scienze Religiose a Bologna e poi alla fondazione di una comunità monastica, sempre nella regione emiliana. Ma la sua paternità politica nel partito continua attraverso l’opera di Fanfani, che sostituisce De Gasperi e trasforma la Dc in un partito ideologico di massa che “occupa” lo Stato per finanziarsi e non dover più dipendere dalle strutture del mondo cattolico, e attraverso quella che diventerà la corrente maggioritaria del partito, Iniziativa democratica, affidata a Mariano Rumor. Nasce il “dossettismo senza Dossetti” che influenzerà molto la politica italiana.

Ma Dossetti non abbandona la politica e continua a seguirla pur dedicandosi alla vita della Chiesa, in particolare nella diocesi di Bologna dove diventa vicario generale dell’arcivescovo Lercaro, e nell’ambito dei lavori del Concilio Vaticano II, ai quali partecipa come consultore dello stesso card. Lercaro. Baget Bozzo e Saleri mettono in luce la funzione “rivoluzionaria” avuta da Dossetti sui lavori conciliari, sventata da papa Paolo VI con la Nota praevia che ferma autoritativamente ogni deriva antipetrina nei lavori conciliari e porta a un ridimensionamento dello stesso Dossetti.
Dossetti non abbandona la politica perché la sua funzione nella vita religiosa e culturale viene sempre vissuta con la stessa volontà di cambiamento che lo aveva animato durante l’esperienza politica. Quest’ultima però conosce un ritorno a un impegno diretto in occasione della svolta epocale che la politica italiana conosce nel 1994 in conseguenza della caduta del Muro di Berlino, nel 1989, e della conseguente crisi avviata dalla magistratura con la cosiddetta “Tangentopoli”, che porta alla scomparsa per via giudiziaria dei due principali partiti della Prima Repubblica, il Psi e la Dc, e alla trasformazione del Pci in un partito democratico di sinistra, il Pds. Per gli autori si tratta di un vero colpo di Stato legale, condotto da una parte della Magistratura, che avrebbe comportato la realizzazione del “sogno” politico di Dossetti, cioè la presenza al governo delle due forze politiche antiliberali, i cattolici democratici senza più la Dc, e i comunisti senza più il retroterra ingombrante dell’Urss, che aveva reso impossibile il progetto a livello di accordi di politica internazionale. Ma un nuovo ostacolo rende impossibile la realizzazione del sogno, e si tratta di Silvio Berlusconi.
La sua discesa in campo nel 1994 e la vittoria elettorale inaspettata spingono appunto Dossetti a uscire temporaneamente dalla sua comunità monastica per salvare la Costituzione e successivamente a contribuire alla nascita dell’Ulivo, guidato da un suo discepolo, Romano Prodi. Le vittorie elettorali nel 1996 e nel 2006 delle coalizioni “dossettiane” sembrano la vittoria postuma del dossettismo, cioè appaiono come il confluire nel governo della nazione delle due ideologie alternative ai valori culturali di un’Italia anticomunista, popolare e conservatrice, legata all’Occidente e radicata nella propria identità cattolica, che aveva vinto il 18 aprile 1948. Ma il governo di Prodi fallisce e nel 2008 Berlusconi torna al governo. E con lui l’Italia moderata che Dossetti aveva sempre tentato di “superare”.
Marco Invernizzi

domenica 12 luglio 2009

Newsletter - n. 38

Caritas in veritate
La terza enciclica di Benedetto XVI è uscita. I giornali hanno fatto i loro scoop anticipandone qualche riga. Vi sono stati alcuni commenti abbastanza generici alla ricerca di quella che nel gergo giornalistico si chiama notizia. Che non c’è perché l’unica vera notizia è che siamo di fronte a un testo che bisognerebbe leggere, rileggere (studiare) prima di commentarlo e poi eventualmente mettere in pratica nella propria vita nella misura delle responsabilità pubbliche che si hanno.
Così non è stato, come per la grande maggioranza dei documenti del Magistero, che raramente si prestano a titoli gridati sulle prime pagine dei giornali.
Rimane il mondo cattolico, quello delle parrocchie e delle associazioni, dove si spera che l’enciclica non finisca troppo presto nel dimenticatoio, dove potrebbe essere tenuta viva con adeguate presentazioni.

L’enciclica spiegata dal Papa
A questo mondo propongo una presentazione semplice e autorevole, perché fatta con le stesse parole del Papa. Benedetto XVI infatti ha presentato la “sua” enciclica nell’udienza generale di mercoledì 8 luglio. Se qualcuno la ritenesse troppo impegnativa e difficile, può cominciare a leggere il testo di questa udienza, certamente alla portata di tutti. Poi magari gli verrà voglia di leggerla tutta.
La presento brevemente.

L’ispirazione paolina
Il documento si ispira a un passaggio della Lettera agli Efesini di san Paolo, dove l’Apostolo scrive che si deve agire nella verità con carità. Il legame fra carità e verità sta alla base di tutta la dottrina sociale della Chiesa, spiega il Papa, e in particolare viene approfondito nella splendida introduzione alla Caritas in veritate con il linguaggio preciso del teologo Joseph Ratzinger. Sempre nell’introduzione, il Papa indica due criteri fondamentali che stanno alla base del testo: la giustizia e il bene comune. La prima esprime l’amore che si esprime nella concretezza dei fatti, che si manifesta anche cercando non solo il bene individuale ma anche quello della comunità, così che grazie al bene comune la carità assume una dimensione sociale.

La "Populorum progressio"
La Caritas in veritate richiama espressamente quella di papa Paolo VI del 1967, definita pietra miliare dell’insegnamento sociale della Chiesa e dedicata allo sviluppo dei popoli e alle sue possibilità e modalità. Oggi, la situazione mondiale presenta nuovi e diversi problemi, in particolare l’affermarsi della globalizzazione, ma anche il permanere di gravi squilibri economici e sociali e di disuguaglianze clamorose e scandalose, nonostante l’impegno per eliminarle. Un futuro migliore è possibile e il giudizio del Pontefice non è chiuso alla speranza, ma soltanto se lo sviluppo sarà accompagnato dalla riscoperta dei valori etici e se le scelte per il bene comune terranno conto di un necessario rinnovamento culturale e morale.
Questo passaggio non deve sembrare moralistico, ma al contrario è centrale nel documento pontificio, perché soltanto cambiando i criteri culturali delle scelte potrà avvenire qualcosa di meglio. La Chiesa infatti non ha soluzioni tecniche da offrire, ma indica molto concretamente i principi che devono stare alla base delle decisioni: la centralità del diritto alla vita, il rispetto della libertà religiosa e il rifiuto di una assoluta fiducia nella capacità della tecnologia che fonda una concezione prometeica dell’uomo come unico artefice del proprio destino. Soltanto alla luce di questo cambiamento culturale e morale possono essere affrontati i grandi problemi, come quello della fame e della sicurezza alimentare di tanti popoli poveri, oppure il ruolo degli Stati, che devono fare la loro parte rivalutando il loro ruolo politico anche nell’ambito di un mondo globalizzato, o ancora il problema della partecipazione dei cittadini alla vita pubblica nazionale e internazionale.

Significato e fini dell’economia
Per decenni si è dibattuto dialetticamente su profitto e solidarietà verso i poveri, come se l’economia non potesse contemplarli entrambi. Il Papa lo ricorda con forza invitando a recuperare la logica del dono e il principio di gratuità, accanto alla ricerca non esclusiva del profitto. E invita a non usare dialetticamente neppure i diritti umani, come spesso viene fatto dimenticando che «i diritti presuppongono corrispondenti doveri, senza i quali i diritti rischiano di trasformarsi in arbitrio». Inoltre il Papa invita un rispetto vero verso l’ambiente, che implica un diverso stile di vita da parte di tutti, evitando anche in questo caso di contrapporre il rispetto verso l’ambiente a quello verso la persona considerata in se stessa e in relazione con gli altri. Ma perché tutto questo non appaia illusorio il Papa auspica la nascita di un’Autorità politica mondiale «regolata dal diritto, che si attenga ai menzionati principi di sussidiarietà e solidarietà e sia fermamente orientata alla realizzazione del bene comune, nel rispetto delle grandi tradizioni morali e religiose dell’umanità».
Qualcosa di simile a un’istituzione che svolga la funzione di un impero riconosciuto (anzi voluto) dagli Stati e dai popoli, capace di fare rispettare lo jus gentium, il diritto internazionale, quello che l’ONU non è riuscito a essere o non ha potuto diventare.

Non di solo pane
E’ quanto ci ricorda il Vangelo ed è quanto ricorda la dottrina sociale della Chiesa sostenendo lo sviluppo “integrale” dei popoli, che cioè tenga conto di tutto l’uomo, non soltanto della sua componente materiale. Diversamente non ci sarà sviluppo.

Come è stato detto, un documento del Magistero è un evento della Chiesa, non soltanto un testo da studiare. Andrebbe perciò accompagnato con la preghiera, con adeguate celebrazioni liturgiche. Ma almeno andrebbe letto. E così non dovrebbe essere impossibile che ogni comunità cattolica si riunisse per leggere (almeno) questa breve ma autorevole presentazione dell’enciclica.

Marco Invernizzi

domenica 14 giugno 2009

Newsletter - n. 37

Andare a votare in un’epoca di profonda crisi morale e culturale raramente è entusiasmante. Infatti, non capita spesso di trovare il candidato ideale sia dal punto di vista politico sia da quello personale. Quando lo troviamo rispettoso o addirittura promotore dei “principi non negoziabili” e della dottrina sociale della Chiesa, spesso è inadeguato sul piano della vita privata e capita frequentemente di rendersi conto che non possiede le qualità minime per rappresentare il mandato che gli stiamo per affidare.
Ma il bene comune di un popolo va comunque perseguito, anche in una tornata elettorale, come i prossimi ballottaggi amministrativi, in cui la possibilità di scegliere per noi elettori è “secca”, senza alternative ai due candidati rimasti in lizza. Anche in questa occasione dovremo scegliere chi potrà fare meno danni al bene comune, una volta eletto, anche se è personalmente lontano da quei principi che vorremmo vedere realizzati nella vita pubblica, perché l’altro (nel senso dell’altra coalizione politica) è ancora più lontano. Fino a quando c’è la possibilità di scegliere è rarissimo che non ci si offra un “meno peggio” al quale affidare il nostro voto.

L’Osservatorio politico di Nuove Onde

Il successo ottenuto dall’Osservatorio politico promosso dall’associazione Nuove Onde (migliaia di accessi dopo la presentazione a Radio Maria) conferma il desiderio sincero e serio di informarsi e partecipare di molte persone. Questo Osservatorio (per chi non lo conoscesse www.nuoveonde.com), invita a votare premiando la coalizione o il candidato (quando possibile) che abbia manifestato concretamente nella passata legislatura la propria fedeltà ai principi non negoziabili (vita, famiglia, libertà di educazione), oppure che questa fedeltà sia espressa chiaramente nel proprio programma elettorale o in quello della coalizione o partito di appartenenza. Stiamo pensando di renderlo un servizio permanente, che intervenga ogni volta che sono in discussione, a diverso livello, i “principi non negoziabili”.
Ma proprio questo successo è il segno del grande disorientamento che c’è nell’elettorato in seguito alla crisi dei partiti e alla loro trasformazione dopo il 1989. Una volta, nell’epoca delle ideologie (che non è il Medioevo ma risale ormai a vent’anni fa) si votava con il criterio dell’appartenenza (anticomunismo o unità dei cattolici in un solo partito erano i criteri più utilizzati dall’elettorato conservatore), mentre oggi il lavoro più importante è quello culturale, consistente nel mostrare all’elettore la necessità di scegliere in base al criterio dei “principi non negoziabili”, e non secondo altri criteri, spesso legati a parole che esprimono valori importanti ma successivi a quelli legati alla vita e alla famiglia.

Teniamolo presente ancora una volta domenica prossima in occasione dei ballottaggi. E serviamoci del sito di Nuove Onde per capire con quale criterio dare il nostro voto.

Marco Invernizzi

lunedì 18 maggio 2009

Newsletter - n. 36

In memoriam

E' morto a Genova giovedì 7 maggio don Gianni Baget Bozzo. Aveva 84 anni.
Sacerdote, teologo e politologo, uomo di grande cultura e di sicura fedeltà alla Chiesa, ha avuto una biografia culturale e politica estremamente complessa. Ripercorrerla significa rivedere le fasi salienti della recente storia italiana, i nodi principali che lo hanno visto attento e intelligente analista e interprete, e spesso anche protagonista.
Come ha scritto lui stesso in una sorta di autobiografia uscita nel 1997 su Panorama, richiestagli dall’allora direttore Giuliano Ferrara, la sua patria è stata sempre e soprattutto la Chiesa. Per questo, giovane studente liceale negli ultimi anni del regime fascista, alle prese con lo scontro ideologico tra fascisti e comunisti, scelse la Chiesa e i suoi eroi erano gli zuavi pontifici caduti a Castelfidardo per difendere il Papa nel 1859.
Negli anni della caduta del Regime e della Resistenza si avvicinò alla Democrazia Cristiana e a quella figura che avrà un peso tanto rilevante nella cultura del cattolicesimo democratico, Giuseppe Dossetti. La vicinanza alla sinistra Dc sarà breve ma anche l’altra Dc, quella di Alcide De Gasperi, non appagherà il suo desiderio di fondare la politica su princìpi che andassero al di là della politica stessa come esercizio del potere.
Nel 1959 Baget Bozzo assume la direzione della rivista L’Ordine Civile — una testata a lui ceduta da Luigi Gedda — e de Lo Stato. All’epoca il futuro sacerdote è il primo a formulare una critica contro la partitocrazia e a schierarsi per l’elezione diretta del capo dello Stato, come espressione di di­stinzione della società, della politica e delle istituzioni. In questo periodo appoggia il governo del democristiano Tambroni, sostenuto dai voti del Msi, e dopo il drammatico fallimento di questo governo, travolto dalle rivolte di piazza da parte di gruppi anche armati nell’estate del 1960 e dal tradimento dei vertici della stessa Dc, forma il Movimento per l’Ordine Civile, appunto con lo scopo di opporsi alla nascita dei primi governi di centro-sinistra.
Ma l’esperimento non porta a felici risultati soprattutto a causa dell’ostilità della Gerarchia ecclesiastica e così don Gianni si ritira dalla politica e si laurea in teologia, nel 1966, in Laterano. L’anno successivo viene ordinato sacerdote, a Genova, dal cardinal Siri, e nel frattempo comincia a dirigere una rivista teologica di impostazione conservatrice, Renovatio, sempre nell’ambito della diocesi genovese guidata dall’arcivescovo al quale sarà sempre molto legato.
Inizia così il periodo più confuso e discutibile della sua vita pubblica, quando comincia a scrivere su la Repubblica, accomunato dall’avversione alla Dc e dalla speranza di una evoluzione liberale del Pci, come ha scritto lui stesso nell’autobiografia apparsa su Panorama.
In questi anni viene in contatto con Bettino Craxi e ne diventa consigliere. In lui vedeva l’artefice del tentativo di ribaltare le posizioni di forza all’interno della sinistra italiana, a favore di un Psi riformista e occidentale, avverso al Pci. Nel 1984 viene eletto europarlamentare socialista e l’anno successivo viene, di conseguenza, sospeso a divinis dal card. Siri, anche se non smetterà di celebrare la Messa in privato, a Bruxelles, nel suo piccolo studio, come testimonierà Giuliano Ferrara che vi assistette alcune volte.
In Craxi vedeva una soluzione politica per l’Italia, attraverso la sconfitta della Dc che non aveva più alcuna cultura politica. Scriverà che “secondo la tradizione della Chiesa, espressa dal pensiero di San Tommaso, la politica andava fondata sulla legge naturale e non sulla fede e l’obbedienza alla Chiesa”. La scelta fu drammatica e lacerante, ma a chi gli obiettava di aver scelto il partito del divorzio e dell’aborto rispondeva che le due leggi erano firmate da ministri dc e nessuno di essi aveva scelto di fare come re Baldovino, cioè dimettersi.
Il suo mandato, rinnovato per una seconda legislatura, terminò nel 1994, quando poté rientrare pienamente nella comunione ecclesiale. Nello stesso anno Berlusconi vinse le elezioni dopo che era venuta meno, in seguito alla caduta del Muro di Berlino nel 1989 e a Tangentopoli, l’unità politica dei cattolici nella Dc. Nel corso dello stesso anno partecipa così alla fonda­zione di Forza Italia
, di cui redige successivamente la Carta dei Valori cercando di radicarla culturalmente nell’orizzonte del «liberalismo popolare». Collabora con alcune testate giornalistiche come Panorama e i quotidiani il Giornale, La Stampa e Il Secolo XIX, rivestendo inoltre la carica di direttore responsabile di Ragion­po­li­ti­ca, periodico tele­matico dell’area politico-culturale che fa riferimento al Popolo della Libertà.
Diventa così uno dei principali consiglieri di Berlusconi e uno dei responsabili della formazione di Forza Italia; conclusa l’esperienza della Dc, il suo nemico era sempre il partito postcomunista (la “gioiosa macchina da guerra” di Achille Occhetto e le successive metamorfosi), con la sua pretesa di egemonizzare l’Italia.
Sarà proprio in occasione della rievocazione del 50° anniversario della vittoria elettorale del 18 aprile 1948 che Baget Bozzo parteciperà a Milano, nel 1998, a una manifestazione pubblica di Alleanza Cattolica, dove presenterà le sue tesi, certamente diverse, ma simili nella critica dello sperpero operato dal partito di ispirazione cristiana dello straordinario patrimonio di consenso affidatogli dal popolo italiano in occasione di quella straordinaria giornata, che segna la vera nascita dell’Italia moderna, antisocialcomunista e radicata nella storia dell’Occidente cristiano.

Marco Invernizzi

sabato 18 aprile 2009

Newsletter - n. 35

Segnalazione libro

Il libro è sempre stato uno dei principali strumenti dell’apostolato culturale di Alleanza Cattolica, soprattutto in tempi lontani, quando i libri “buoni” erano pochissimi e quando l’uscita di un buon libro era un evento, una vera e propria occasione di festa.
L’amore per il libro e per il suo uso apostolico era una caratteristica dell’Amicizia Cristiana, l’associazione di laici che sta all’inizio della presenza pubblica dei cattolici italiani, negli anni dell’invasione napoleonica della Penisola, e che ebbe un importante influsso culturale nella prima metà del XIX secolo. Anche per loro il libro era un’occasione, un’opportunità per avvicinare le persone e iniziare con loro un dialogo, ma soprattutto un mezzo di formazione personale e di gruppo.
Oggi, libri “buoni” ne vengono pubblicati molti di più e i problemi sono di altra natura. Per esempio, entrando in una libreria anche cattolica, oggi provo sempre un senso di ansia e di disorientamento per la confusione con cui vengono accostati, quasi fossero intercambiabili, libri che sostengono affermazioni opposte fra loro sui più diversi argomenti. Mentre anni fa si trovavano quasi soltanto libri “orientati male”, oggi il problema è diventare capaci di distinguere fra “libri nocivi” e “libri buoni” e poi, fra questi ultimi, fra “libri utili e necessari” e quelli “inutili”.
Credo allora che uno dei principali compiti di oggi sia quello di “mettere ordine” nelle letture, cioè di aiutare a scegliere e a leggere i libri che sono a disposizione con un’abbondanza sconosciuta in altri tempi.

Per questo motivo vorrei segnalarvi il libro postumo e recentemente pubblicato di un amico e maestro, Marco Tangheroni (1946-2004), che aiuta proprio a “mettere ordine” a proposito della storia, dei suoi limiti e della sua utilità, del modo di studiarla rispettandone le caratteristiche, senza divinizzarla ma senza rinunciare all’apporto importante che può dare alla comprensione del passato e alla costruzione dell’identità culturale di una persona e di un popolo.
Complici le provvidenziali vacanze pasquali, ho potuto leggere con grande gioia questo piccolo volume che nacque da incontri periodici di Marco con i suoi studenti all’università di Pisa. L’occasione erano alcuni aforismi inerenti alla storia dello scrittore colombiano Nicolàs Gómez Dávila, commentando i quali il professore introduce i suoi allievi nel “mistero” della storia, aprendo piste di lettura affascinanti e mettendo in guardia da molti errori e ingenuità che il giovane storico inesperto, o male formato, potrebbe essere indotto a commettere da cattivi maestri.
L’opera mi pare particolarmente adatta ai tempi attuali proprio in ragione di quanto facevo notare sulla grande disponibilità di libri, e in particolare di libri di storia, e della conseguente possibilità di confusione.
E’ una caratteristica della cultura dominante, il relativismo, quella di negare l’importanza e la bellezza della ricerca della verità. Mentre nell’epoca delle ideologie alla storia veniva attribuita la pretesa di poter conoscere con assoluta certezza, negando la complessità del reale e piegando lo studio della storia a un semplice mezzo per orientare il presente, oggi la storia interessa sempre di meno perché viene scartata l’idea stessa di verità e quindi la fatica che si deve fare per avvicinarsi a essa. La lettura di Tangheroni aiuta a “mettere ordine”, a superare tante difficoltà, e grazie al modo pacato e riflessivo che contraddistingueva il suo stile di comunicazione, rende il suo libro fruibile anche ai non addetti ai lavori, ma a chiunque ami la verità storica e desideri conoscere un po’ di più con quale metodo ricercarla.

Marco Invernizzi
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Marco Tangheroni, Della storia. In margine ad aforismi di Nicolàs Gómez Dávila, Sugarco, Milano 2008, pp. 142, € 15,00 (richiedere http://www.libreriasangiorgio.it/)

giovedì 12 marzo 2009

Newsletter - n. 34

Solo e odiato
Una lettera del Papa ai vescovi
dopo la revoca della scomunica

Una lettera del Papa indirizzata a tutti i vescovi della Chiesa cattolica, con un linguaggio diretto, assolutamente chiaro ed esplicito, inusuale e assolutamente privo di ogni forma di “ecclesiastichese”. Una lettera di chiarificazione dopo tutti i malintesi sorti in seguito alla revoca della scomunica ai 4 vescovi ordinati, validamente ma senza mandato della Santa Sede, da mons. Marcel Lefebvre nel 1988.
Ecco i punti essenziali.

1. Quei cattolici che attaccano il Papa
Il sovrapporsi del “caso Williamson” con la remissione della scomunica ha fatto pensare che quest’ultima prevedesse un ritorno indietro del processo di riconciliazione fra cristiani ed ebrei cominciato col Concilio e che “fin dall’inizio era stato un obiettivo del mio personale lavoro teologico”. Ma la cosa che ha rattristato maggiormente il Pontefice è stato l’atteggiamento di quei cattolici “che in fondo avrebbero potuto sapere meglio come stanno le cose”, i quali hanno “pensato di dovermi colpire con un’ostilità pronta all’attacco”.
Dunque il Papa è consapevole dell’esistenza di cattolici pronti a utilizzare ogni occasione per attaccarlo mentre ringrazia “gli amici ebrei che hanno aiutato a togliere di mezzo prontamente il malinteso e a ristabilire l’atmosfera di amicizia e di fiducia”.

2. Siamo eredi di tutta la storia della Chiesa
E’ stato commesso l’errore di non spiegare il senso del provvedimento di revoca della scomunica. Quest’ultima colpisce le persone, non le istituzioni, e la sua revoca ha lo stesso significato della punizione, ossia “invitare i quattro Vescovi ancora una volta al ritorno”. Ma i problemi dottrinali rimangono e, fino alla loro soluzione, la Fraternità “non ha alcuno stato canonico nella Chiesa”.
Per questo bisogna distinguere l’aspetto disciplinare da quello dottrinale e allo scopo il Papa ha deciso di collegare la Pontificia Commissione Ecclesia Dei (che si occupa del ritorno alla comunione dei gruppi tradizionalisti) con la Congregazione per la Dottrina della fede.
Infatti, Benedetto XVI ricorda l’esistenza di problemi dottrinali che dovranno essere affrontati con la Fraternità sacerdotale san Pio X, soprattutto l’accettazione del Vaticano II, perché “non si può congelare l’autorità magisteriale della Chiesa all’anno 1962” e “ciò deve essere ben chiaro alla Fraternità”.
Contemporaneamente (e riecheggiando quanto scritto nel memorabile discorso alla curia romana del dicembre 2005) ricorda ai difensori del Concilio “che il Vaticano II porta in sé l’intera storia dottrinale della Chiesa” e dunque chi “vuole essere obbediente al Concilio, deve accettare la fede professata nel corso dei secoli e non può tagliare le radici di cui l’albero vive”.

3. L’intenzione missionaria di Benedetto XVI
Evidentemente qualche vescovo e i mass media hanno contestato al Papa la necessità o almeno la priorità di questo intervento. Benedetto ricorda le priorità affermate all’inizio del suo pontificato, in particolare afferma: “Nel nostro tempo in cui in vaste zone della terra la fede è nel pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più nutrimento, la priorità che sta al di sopra di tutte è di rendere Dio presente in questo mondo e di aprire agli uomini l’accesso a Dio. Non ad un qualsiasi dio, ma a quel Dio che ha parlato sul Sinai; a quel Dio il cui volto riconosciamo nell’amore spinto sino alla fine (cfr Gv 13,1) – in Gesù Cristo crocifisso e risorto”.
Questa intenzione missionaria è la prima intenzione del Papa e per logica conseguenza gli sta a cuore l’unità dei cristiani, l’ecumenismo, perché la divisione impedisce una testimonianza efficace.

4. Le “stonature” della Fraternità e quelle dell’ambiente ecclesiale
Dopo questa priorità fra le intenzioni del Papa, vi sono anche le riconciliazioni piccole e medie. E il Papa si domanda, e ci domanda, se si può considerare sbagliato cercare una riconciliazione con una comunità di 491 preti, 215 seminaristi, 6 seminari e migliaia di fedeli? Non si può cercare fra le loro intenzioni “l’amore per Cristo e la volontà di annunciare Lui e con Lui il Dio vivente?”. E si chiede se “possiamo noi semplicemente escluderli, come rappresentanti di un gruppo marginale radicale, dalla ricerca della riconciliazione e dell’unità? Che ne sarà poi?”.
Il Papa non nasconde le “cose stonate” che si sono ascoltate in questi giorni da parte di rappresentanti della Fraternità, come “superbia e saccenteria, fissazione su unilateralismi”, ma aggiunge anche le “testimonianze commoventi di gratitudine, nelle quali si rendeva percepibile un’apertura dei cuori”. E aggiunge parole inusuali, drammatiche, da rileggersi continuamente perché indicative della condizione in cui si trova il Santo Padre: “A volte si ha l’impressione che la nostra società abbia bisogno di un gruppo almeno, al quale non riservare alcuna tolleranza; contro il quale poter tranquillamente scagliarsi con odio. E se qualcuno osa avvicinarglisi – in questo caso il Papa – perde anche lui il diritto alla tolleranza e può pure lui essere trattato con odio senza timore e riserbo”.

Il Papa chiede di essere aiutato?

La lettera è un documento eccezionale nel senso appunto di fuori dalla norma, anche per il linguaggio singolarmente diretto. Essa significa anzitutto quello che c’è scritto e mi auguro che venga letta da quante più persone possibili. Ma il Santo Padre sembra anche voler chiedere di più, di essere aiutato, come se fosse solo, trattato con odio anche all’interno della Chiesa ogniqualvolta fa un’affermazione non “politicamente corretta”. Non posso non ricordare il 1968, quando venne pubblicata l’enciclica di papa Paolo VI, Humanae vitae, che suscitò tanto contestazioni anche e soprattutto dentro la Chiesa perché ribadiva la dottrina di sempre sul tema della sessualità. Iniziò allora la contestazione esplicita del Magistero pontificio all’interno della Chiesa. Essa non è ancora terminata. E Benedetto XVI si trova oggi in quella drammatica solitudine in cui venne a trovarsi Paolo VI allora, quarant’anni fa.

Marco Invernizzi


La lettera, datata 10 marzo, si può leggere sul sito della Santa Sede www.vatican.va

giovedì 26 febbraio 2009

Newsletter - n. 33

E’ singolare che il neo segretario del Partito Democratico Dario Franceschini abbia sentito la necessità di inaugurare la sua nomina a leader del partito recandosi nel Castello Estense della sua città natale, Ferrara, per giurare sulla Costituzione, dopo aver scelto la linea dell’autodeterminazione a proposito della legge sul fine vita, in discussione al Senato, nel discorso in cui accettava la nomina al posto di Walter Veltroni alla guida del partito.
Franceschini viene dalla storia del cattolicesimo democratico italiano, dalla Democrazia Cristiana. La stessa storia che ha spinto il Presidente emerito della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro a essere l’unico oratore nella manifestazione dello stesso Pd in difesa della Costituzione pochi giorni prima delle dimissioni di Veltroni, oppure il senatore a vita Giulio Andreotti a dare ragione al Presidente Napolitano nella polemica con Silvio Berlusconi a proposito del decreto che avrebbe potuto salvare la vita a Eluana Englaro, oppure ancora il monaco Giuseppe Dossetti a uscire dal convento nel 1994 per fondare i comitati in difesa della Costituzione che, anche allora, era “minacciata” dall’attuale Presidente del Consiglio.
E’ singolare, ma è così. A Franceschini non viene in mente il rischio della legalizzazione dell’eutanasia, la crisi della famiglia che neppure il governo di centro-destra riesce a riportare al centro dell’attenzione legislativa (e per questo potrebbe anche essere criticato, perché avrebbe potuto fare di più). La sua prima preoccupazione non sono i “princìpi non negoziabili” su cui si dovrebbe fondare la vita della comunità, quei princìpi, vita, famiglia e libertà di educazione, su cui papa Benedetto XVI e il magistero della Chiesa insistono da decenni. I suoi valori sono l’antifascismo, la laicità e la Costituzione.

Il problema non è la Costituzione, ma la sua divinizzazione. Le affermazioni del Presidente del Consiglio a suo proposito sono ovvietà: è nata in un clima culturale completamente diverso dall’attuale, prima della caduta del Muro di Berlino quando il mondo era diviso in campi ideologici contrapposti. Il 40% dei costituenti (i socialcomunisti) guardavano all’Unione Sovietica come a un modello di riferimento e i partiti di allora sono tutti scomparsi. Queste non sono opinioni, ma dati di fatto. Sarebbe una bestemmia pensare di cambiare la Carta costituzionale, anche nella prima parte, quella dei princìpi, in un Paese diventato molto diverso nel corso di oltre cinquant’anni? Eppure nessuno ha chiesto di cambiarla. E’ bastata una frase tanto ovvia, quanto occasionale, per scatenare un putiferio mediatico.

Sull’antifascismo siamo tutti d’accordo. E’ come il prezzemolo che, dicono, non guasti mai. Salvo attribuire all’attuale maggioranza “tentazioni” fasciste, cosa che ogni tanto “scappa” dalla bocca di qualcuno. Ma non ci crede nessuno.

Più complesso e serio è il discorso sulla laicità. Laicità rispetto a che cosa? All’ingerenza della Chiesa. Anche questa è una cosa singolare. Il neosegretario “cattolico” (ma lui non gradirebbe, credo, questa qualificazione) sente il bisogno di affermare con forza la propria laicità rispetto a una supposta ingerenza della Chiesa. Come se ci volesse dire che da questa parte viene il pericolo per la libertà e l’autonomia delle istituzioni.

Singolare, davvero. O forse no. Forse è semplicemente una “vecchia” storia che si ripete. La “vecchia” storia di quando i Comitati civici vennero silenziati dalla Dc negli anni Cinquanta del secolo scorso, dei cattolici democratici a favore della legge sul divorzio nel referendum del 1974, delle firme democristiane alla legge sull’aborto nel 1978, dei “cattolici adulti” che andarono a votare in occasione del referendum contro la legge 40 sulla fecondazione assistita nel 2005.

venerdì 13 febbraio 2009

Newsletter - n. 32

Quale può essere il motivo che ha spinto Beppino Englaro a portare al centro dell’attenzione del Paese il caso drammatico di sua figlia? Che cosa lo ha sostenuto, dal gennaio 1992, nella costante e credo logorante battaglia per ottenere che sua figlia potesse essere uccisa, ma con l’autorizzazione e attraverso le strutture dello Stato?

Il caso Eluana e il conflitto culturale

Sull’onda emotiva che ha coinvolto tutti nelle ultime settimane si può essere tentati di dare una risposta immediata, tagliente, senza alcuna sfumatura. L’assenza dei genitori di Eluana al funerale religioso ha ulteriormente sconcertato. Tuttavia la prudenza ci invita a giudicare i fatti, soprattutto quelli epocali, e a fermarsi di fronte alle intenzioni, che solo Dio conosce.
Un fatto certo e ribadito dai protagonisti è che il padre di Eluana ha avuto in questi anni alcuni consiglieri che non hanno nascosto lo scopo dell’azione che li ha spinti ad arrivare al punto in cui si è giunti con il trasferimento nella clinica di Udine, dove le è stata tolta l’alimentazione e l’idratazione per portarla alla morte, sopraggiunta lunedì 9 febbraio. Uno di questi consiglieri, Maurizio Mori, docente di bioetica a Torino e Presidente di un’associazione che raduna i membri del gruppo che ha affiancato Beppino Englaro in questi anni, lo ha scritto in maniera esplicita: “... il caso di Eluana è importante per il suo significato simbolico. Da questo punto di vista è l’analogo del caso creatosi con la breccia di Porta Pia attraverso cui il 20 settembre 1870 i bersaglieri entrarono nella Roma papalina. Come Porta Pia è importante non tanto come azione militare quanto come atto simbolico che ha posto fine al potere temporale dei papi e alla concezione sacrale del potere politico, così il caso Eluana apre una breccia che pone fine al potere (medico e religioso) sui corpi delle persone e (soprattutto) alla concezione sacrale della vita umana. Sospendere l’alimentazione e l’idratazione artificiali implica abbattere una concezione dell’umanità e cambiare l’idea di vita e di morte ricevuta dalla tradizione millenaria che affonda le radici nell’ippocratismo e anche prima nella visione dell’homo religiosus, per affermarne una nuova da costruire” (Il caso Eluana Englaro, Pendragon, 2009, pp. 11-12).

Se chi consiglia di tacere di fronte al dolore, reale o presunto, suscitato dalla morte drammatica di Eluana avesse la pazienza di leggere e riflettere su queste parole, smetterebbe di dare consigli buonisti e sciocchi. La battaglia che si è combattuta sul corpo della povera donna di Lecco aveva fin dall’inizio lo scopo di portare alla legalizzazione dell’eutanasia e, di più, al radicale cambiamento culturale sopra descritto dalle parole di Mori, un cambiamento inerente all’etica medica e al senso comune, nella prospettiva dell’ideologia relativista. E il padre di Eluana è stato il primo a volere che questo accadesse, come dimostra il libro di Mori e quello dello stesso Beppino (con Elena Nave, Eluana la libertà e la vita, Rizzoli, 2008).
Quindi bisogna prendere atto che siamo di fronte a una svolta importante nella vita pubblica del nostro Paese: Eluana è stata uccisa da un decreto della magistratura italiana e in Parlamento è in discussione una legge sul fine vita che non porterà immediatamente alla legalizzazione dell’eutanasia, ma che potrebbe essere o una ferma opposizione alla “dolce morte” oppure una iniziale deriva verso di essa attraverso l’approvazione di quella cosa ambigua che è il testamento biologico.
Quindi bisogna parlare, ossia bisogna prepararsi, capire che cosa stanno facendo i nemici della vita, contrastare le loro argomentazioni, non sottovalutandone l’astuzia. E abituare le persone ad accogliere il principio di realtà, la vita cioè e le sue modalità, anche quando questa vita prevede la sofferenza e il dolore.

D’altra parte non è difficile comprendere la portata e le conseguenze di quanto è accaduto. Attorno al caso Eluana è emersa una importante domanda e sono scoppiati significativi conflitti culturali e politici.
Quale è il rapporto fra la legge naturale e quella positiva, fra la realtà di una donna accudita e amata da suore meravigliose e il sogno ideologico di un gruppo che ritiene la vita disponibile quando la sua qualità viene ritenuta inadeguata?

Il conflitto politico

Io credo che il governo italiano abbia dimostrato un coraggio grande nel fare di tutto per salvare Eluana anche a costo di andare allo scontro istituzionale con il Presidente della Repubblica. Peraltro era difficile non vedere l’urgenza richiesta dal governo nel caso specifico, quando ad Eluana avevano già cominciato a togliere acqua e cibo; eppure anche questo atteggiamento del Quirinale è passato sulla stampa quasi senza critiche, come se fosse normale.
Scoppiato il conflitto istituzionale, esso ha raggiunto la Costituzione e così abbiamo assistito al paradosso di un omicidio decretato da un organo del potere giudiziario, mentre il capo del governo veniva linciato sui media perché aveva osato dire che la Costituzione non è intoccabile. Quando scriveranno la storia, se saranno onesti, dovranno pur dire che nelle stesse ore, in Italia, all’inizio del 2009, una disabile veniva condotta alla morte “legale” mentre il Presidente del consiglio che aveva cercato di salvarla veniva condotto a un “macello mediatico” senza precedenti.

Quello che è successo non è un piccolo episodio di routine. Teniamolo vivo, raccontandolo. Soprattutto stiamo attenti a quello che sta accadendo in Parlamento, convinti che è in corso una tappa importante della guerra per “cambiare l’idea di vita e di morte ricevuta dalla tradizione millenaria”. Una tradizione che ha impiegato secoli per entrare nella coscienza degli uomini e che può essere estirpata nel giro di pochi anni.

Marco Invernizzi

lunedì 9 febbraio 2009

Eluana, la Costituzione e il cattolicesimo democratico

Martedì 10 febbraio, il Partito Democratico si affiderà alla parola dell’ex Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro per difendere la Costituzione ed esprimere la solidarietà al Presidente Giorgio Napolitano. Al quale non ha fatto mancare la solidarietà un altro grande ex della Dc, il senatore a vita Giulio Andreotti.
C’è qualcosa di apparentemente surreale in queste uscite. Mentre i fedeli cattolici si mobilitano con la preghiera, su internet, ovunque venga loro lasciato spazio per difendere la vita di Eluana Englaro e denunciare come si stia introducendo la legalizzazione dell’eutanasia attraverso un caso pietoso, due importanti uomini storici della Dc e statisti d’Italia sentono il bisogno di scendere in piazza per difendere la Costituzione, quasi che la Carta sia più importante della vita di una persona e della protezione del diritto alla vita da parte dello Stato.
Ma in realtà queste posizioni non sono nuove e riflettono il problema che il cattolicesimo democratico ha sempre avuto con le istituzioni. Ricordate quando Giulio Andreotti con altri sei democristiani, compreso il Presidente della Repubblica Leone, firmarono la legge 194 che legalizzava l’aborto? Oppure quando Romano Prodi e Rosy Bindi andarono a votare no nel referendum sulla legge 40 quando tutti i cattolici “normali” si astennero per invalidare il referendum promosso da radicali e partiti laicisti? Oppure i “cattolici del no” che nel 1974 votarono per mantenere la legge che aveva introdotto il divorzio?
Sono tutti casi nei quali la procedura ha prevalso sulla realtà, il rispetto della legge positiva ha avuto il sopravvento sulla legge naturale. Questo è il punto centrale: questi cattolici non credono esistano principi comunque veri indipendentemente dal riconoscimento formale delle maggioranze e delle procedure, o delle leggi positive. E nel caso di conflitto scelgono sempre il diritto positivo, la maggioranza, non la verità delle cose.
Così la realtà viene piegata al rispetto della procedura e frequentemente viene piegata al servizio dell’ideologia. Il caso della Costituzione è esemplare. Il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha detto una cosa ovvia, ossia che la Costituzione è stata fatta in un periodo storico completamente diverso dall’attuale perché precedente la caduta del Muro di Berlino; i partiti protagonisti di quella scelta non ci sono più e neppure le ideologie che rappresentavano godono di largo consenso. Inoltre è un dato di fatto che una delle forze politiche costituenti, il Pci, faceva riferimento all’Unione Sovietica. Questa è la realtà. Poi si potrà anche decidere di non cambiare la Costituzione ma non si può prescindere da chi l’ha fatta e negare come sia stata approvata. E affermare che non si possa cambiarla significa fare dell’ideologia, trasformando un mezzo (le regole della convivenza) nel fine.

Ma torniamo all’attualità. Il principio di realtà ci dice che Eluana sta per essere uccisa, anzi che l’omicidio è in corso. L’urgenza c’è tutta, con ogni evidenza, ma non per il Presidente della Repubblica, per Scalfaro e per Andreotti (e altri purtroppo).
Vogliamo trovare in tempo un mezzo per salvarla. Intanto continuiamo a pregare, noi crediamo nei miracoli.

Marco Invernizzi

mercoledì 4 febbraio 2009

Newsletter – n. 30

Care amiche, cari amici
l’Italia resiste. Resiste al processo di scristianizzazione e alla diffusione di una mentalità ostile alla vita, alla famiglia e alla libertà di educazione. Resiste più degli altri Paesi europei, dove l’eutanasia, l’equiparazione del matrimonio fra omosessuali a quello fra un uomo e una donna sono già stati legalizzati da anni. Sicuramente conta molto l’avvenuta semina di numerose generazioni di santi che per oltre duemila anni hanno operato sul nostro territorio, ma non dobbiamo dimenticare i 27 anni di pontificato di Giovanni Paolo II, nei quali il grande pontefice ha lasciato un segno importante e ha ribadito tante e importanti verità, che molti italiani hanno preso sul serio, soprattutto fra i movimenti e le associazioni laicali, spesso nonostante l’indifferenza e la superficialità di molti che pure occupano posti di grande responsabilità nel mondo cattolico ufficiale.
Benedetto XVI sta continuando questa straordinaria opera di ricostruzione dell’identità cattolica e di trasformazione dei cattolici europei in missionari della nuova evangelizzazione, ricostruzione cominciata con il discorso di apertura del Concilio Vaticano II del beato Giovanni XXIII e che sta lentamente dando i suoi frutti.
Ma non dobbiamo dimenticare altri eroi e testimoni di questa resistenza al male, spesso persone che non appartengono alla Chiesa cattolica. Uno di questi è sicuramente il ministro Maurizio Sacconi, che nei giorni scorsi (16 dicembre) ha ricordato agli istituti ospedalieri il loro dovere istituzionale di curare la vita degli ammalati e non di sopprimerla, come sarebbe accaduto se la clinica di Udine avesse accettato di far morire nella sua struttura Eluana Englaro, la donna di Lecco da 17 anni in stato di coma dopo un incidente stradale.
Ogni gesto che si oppone a chi opera contro la vita e alla cultura della morte suscita rancori, forse odio. Il ministro è stato denunciato dai radicali (e questo potrebbe apparire ovvio), ma qualcuno nella magistratura ha preso sul serio la denuncia e ora è indagato. Tuttavia il suo gesto ha salvato la vita di Eluana, almeno per ora.
Forse noi non riusciamo a spiegarci perché tanta resistenza in Italia, tanto amore per la vita degli altri che si percepisce dai gesti di generosità, dall’impegno di persone lontane dalla fede eppure radicalmente impegnate per il diritto alla vita. Quante persone, gruppi di preghiera, comunità di religiose e religiosi hanno pregato e continueranno a farlo e a offrire i loro sacrifici per conservare e incrementare la consapevolezza che la vita e la famiglia sono il fondamento della vita comune e quindi sono principi non negoziabili, come ripete il Papa, senza i quali la società implode e le relazioni fra le persone diventano sempre più dominate dall’odio.
Da parte sua Alleanza Cattolica continuerà a portare il suo contributo. Soprattutto per fare crescere la consapevolezza che la sfida contro le radici cristiane dell’Europa viene da molto lontano e che non si può sperare di resistere a lungo senza comprendere a fondo il male che ci circonda, che ha iniziato a corrompere il corpo sociale centinaia di anni fa e ha continuato a penetrare nel corpo sociale attraverso le diverse ideologie che si sono alternate nel cercare di sostituire il senso comune dei popoli. Questo male è diventato cultura, nel senso che orienta i giudizi dei singoli quasi senza che se ne accorgano e così, proprio a livello culturale, deve soprattutto essere smascherato e combattuto. Ecco dunque l’importanza del libro, della rivista, della conferenza o dei corsi di formazione, perché possono illuminare una persona, e forse un ambiente e così seminare speranza, di cui l’uomo contemporaneo ha estremo bisogno.

La speranza è essenziale per qualsiasi apostolato. Se non riusciremo a fare emergere la convinzione, in chi ci ascolta, che un impegno apostolico porta alla felicità eterna, come scriveva sant’Agostino (“contribuendo a salvare un’anima salverai la tua”), non troveremo persone disposte al sacrificio del proprio tempo. E con la speranza, la gioia. Il Papa ne ha parlato prima di Natale, incontrando la curia romana per gli auguri. E ha incitato a fare trasparire la gioia nelle nostre azioni affinché chi ci guarda rimanga colpito e si ponga una domanda. Perché la gente guarda e osserva, fa fatica a leggere e a riflettere perché crede di avere poco tempo, però incontrando persone piene di gioia perché piene di Cristo, forse ricomincerà a riflettere, a leggere e quindi ad aumentare la propria consapevolezza.
Ma la speranza viene dalla preghiera. Dalla preghiera pubblica della Chiesa, ma anche dalla preghiera personale, che mette la persona di fronte al suo Signore e Gli si abbandona, con fiducia assoluta. Allora in lei nasce la speranza che diventa e si manifesta nella gioia. Allora, e solo allora, il libro, la rivista, la conferenza diventano strumenti efficaci e fecondi di apostolato

Marco Invernizzi