domenica 12 luglio 2009

Newsletter - n. 38

Caritas in veritate
La terza enciclica di Benedetto XVI è uscita. I giornali hanno fatto i loro scoop anticipandone qualche riga. Vi sono stati alcuni commenti abbastanza generici alla ricerca di quella che nel gergo giornalistico si chiama notizia. Che non c’è perché l’unica vera notizia è che siamo di fronte a un testo che bisognerebbe leggere, rileggere (studiare) prima di commentarlo e poi eventualmente mettere in pratica nella propria vita nella misura delle responsabilità pubbliche che si hanno.
Così non è stato, come per la grande maggioranza dei documenti del Magistero, che raramente si prestano a titoli gridati sulle prime pagine dei giornali.
Rimane il mondo cattolico, quello delle parrocchie e delle associazioni, dove si spera che l’enciclica non finisca troppo presto nel dimenticatoio, dove potrebbe essere tenuta viva con adeguate presentazioni.

L’enciclica spiegata dal Papa
A questo mondo propongo una presentazione semplice e autorevole, perché fatta con le stesse parole del Papa. Benedetto XVI infatti ha presentato la “sua” enciclica nell’udienza generale di mercoledì 8 luglio. Se qualcuno la ritenesse troppo impegnativa e difficile, può cominciare a leggere il testo di questa udienza, certamente alla portata di tutti. Poi magari gli verrà voglia di leggerla tutta.
La presento brevemente.

L’ispirazione paolina
Il documento si ispira a un passaggio della Lettera agli Efesini di san Paolo, dove l’Apostolo scrive che si deve agire nella verità con carità. Il legame fra carità e verità sta alla base di tutta la dottrina sociale della Chiesa, spiega il Papa, e in particolare viene approfondito nella splendida introduzione alla Caritas in veritate con il linguaggio preciso del teologo Joseph Ratzinger. Sempre nell’introduzione, il Papa indica due criteri fondamentali che stanno alla base del testo: la giustizia e il bene comune. La prima esprime l’amore che si esprime nella concretezza dei fatti, che si manifesta anche cercando non solo il bene individuale ma anche quello della comunità, così che grazie al bene comune la carità assume una dimensione sociale.

La "Populorum progressio"
La Caritas in veritate richiama espressamente quella di papa Paolo VI del 1967, definita pietra miliare dell’insegnamento sociale della Chiesa e dedicata allo sviluppo dei popoli e alle sue possibilità e modalità. Oggi, la situazione mondiale presenta nuovi e diversi problemi, in particolare l’affermarsi della globalizzazione, ma anche il permanere di gravi squilibri economici e sociali e di disuguaglianze clamorose e scandalose, nonostante l’impegno per eliminarle. Un futuro migliore è possibile e il giudizio del Pontefice non è chiuso alla speranza, ma soltanto se lo sviluppo sarà accompagnato dalla riscoperta dei valori etici e se le scelte per il bene comune terranno conto di un necessario rinnovamento culturale e morale.
Questo passaggio non deve sembrare moralistico, ma al contrario è centrale nel documento pontificio, perché soltanto cambiando i criteri culturali delle scelte potrà avvenire qualcosa di meglio. La Chiesa infatti non ha soluzioni tecniche da offrire, ma indica molto concretamente i principi che devono stare alla base delle decisioni: la centralità del diritto alla vita, il rispetto della libertà religiosa e il rifiuto di una assoluta fiducia nella capacità della tecnologia che fonda una concezione prometeica dell’uomo come unico artefice del proprio destino. Soltanto alla luce di questo cambiamento culturale e morale possono essere affrontati i grandi problemi, come quello della fame e della sicurezza alimentare di tanti popoli poveri, oppure il ruolo degli Stati, che devono fare la loro parte rivalutando il loro ruolo politico anche nell’ambito di un mondo globalizzato, o ancora il problema della partecipazione dei cittadini alla vita pubblica nazionale e internazionale.

Significato e fini dell’economia
Per decenni si è dibattuto dialetticamente su profitto e solidarietà verso i poveri, come se l’economia non potesse contemplarli entrambi. Il Papa lo ricorda con forza invitando a recuperare la logica del dono e il principio di gratuità, accanto alla ricerca non esclusiva del profitto. E invita a non usare dialetticamente neppure i diritti umani, come spesso viene fatto dimenticando che «i diritti presuppongono corrispondenti doveri, senza i quali i diritti rischiano di trasformarsi in arbitrio». Inoltre il Papa invita un rispetto vero verso l’ambiente, che implica un diverso stile di vita da parte di tutti, evitando anche in questo caso di contrapporre il rispetto verso l’ambiente a quello verso la persona considerata in se stessa e in relazione con gli altri. Ma perché tutto questo non appaia illusorio il Papa auspica la nascita di un’Autorità politica mondiale «regolata dal diritto, che si attenga ai menzionati principi di sussidiarietà e solidarietà e sia fermamente orientata alla realizzazione del bene comune, nel rispetto delle grandi tradizioni morali e religiose dell’umanità».
Qualcosa di simile a un’istituzione che svolga la funzione di un impero riconosciuto (anzi voluto) dagli Stati e dai popoli, capace di fare rispettare lo jus gentium, il diritto internazionale, quello che l’ONU non è riuscito a essere o non ha potuto diventare.

Non di solo pane
E’ quanto ci ricorda il Vangelo ed è quanto ricorda la dottrina sociale della Chiesa sostenendo lo sviluppo “integrale” dei popoli, che cioè tenga conto di tutto l’uomo, non soltanto della sua componente materiale. Diversamente non ci sarà sviluppo.

Come è stato detto, un documento del Magistero è un evento della Chiesa, non soltanto un testo da studiare. Andrebbe perciò accompagnato con la preghiera, con adeguate celebrazioni liturgiche. Ma almeno andrebbe letto. E così non dovrebbe essere impossibile che ogni comunità cattolica si riunisse per leggere (almeno) questa breve ma autorevole presentazione dell’enciclica.

Marco Invernizzi