Solo e odiato
Una lettera del Papa ai vescovi
Una lettera del Papa ai vescovi
dopo la revoca della scomunica
Una lettera del Papa indirizzata a tutti i vescovi della Chiesa cattolica, con un linguaggio diretto, assolutamente chiaro ed esplicito, inusuale e assolutamente privo di ogni forma di “ecclesiastichese”. Una lettera di chiarificazione dopo tutti i malintesi sorti in seguito alla revoca della scomunica ai 4 vescovi ordinati, validamente ma senza mandato della Santa Sede, da mons. Marcel Lefebvre nel 1988.
Ecco i punti essenziali.
1. Quei cattolici che attaccano il Papa
Il sovrapporsi del “caso Williamson” con la remissione della scomunica ha fatto pensare che quest’ultima prevedesse un ritorno indietro del processo di riconciliazione fra cristiani ed ebrei cominciato col Concilio e che “fin dall’inizio era stato un obiettivo del mio personale lavoro teologico”. Ma la cosa che ha rattristato maggiormente il Pontefice è stato l’atteggiamento di quei cattolici “che in fondo avrebbero potuto sapere meglio come stanno le cose”, i quali hanno “pensato di dovermi colpire con un’ostilità pronta all’attacco”.
Dunque il Papa è consapevole dell’esistenza di cattolici pronti a utilizzare ogni occasione per attaccarlo mentre ringrazia “gli amici ebrei che hanno aiutato a togliere di mezzo prontamente il malinteso e a ristabilire l’atmosfera di amicizia e di fiducia”.
2. Siamo eredi di tutta la storia della Chiesa
E’ stato commesso l’errore di non spiegare il senso del provvedimento di revoca della scomunica. Quest’ultima colpisce le persone, non le istituzioni, e la sua revoca ha lo stesso significato della punizione, ossia “invitare i quattro Vescovi ancora una volta al ritorno”. Ma i problemi dottrinali rimangono e, fino alla loro soluzione, la Fraternità “non ha alcuno stato canonico nella Chiesa”.
Per questo bisogna distinguere l’aspetto disciplinare da quello dottrinale e allo scopo il Papa ha deciso di collegare la Pontificia Commissione Ecclesia Dei (che si occupa del ritorno alla comunione dei gruppi tradizionalisti) con la Congregazione per la Dottrina della fede.
Infatti, Benedetto XVI ricorda l’esistenza di problemi dottrinali che dovranno essere affrontati con la Fraternità sacerdotale san Pio X, soprattutto l’accettazione del Vaticano II, perché “non si può congelare l’autorità magisteriale della Chiesa all’anno 1962” e “ciò deve essere ben chiaro alla Fraternità”.
Contemporaneamente (e riecheggiando quanto scritto nel memorabile discorso alla curia romana del dicembre 2005) ricorda ai difensori del Concilio “che il Vaticano II porta in sé l’intera storia dottrinale della Chiesa” e dunque chi “vuole essere obbediente al Concilio, deve accettare la fede professata nel corso dei secoli e non può tagliare le radici di cui l’albero vive”.
3. L’intenzione missionaria di Benedetto XVI
Evidentemente qualche vescovo e i mass media hanno contestato al Papa la necessità o almeno la priorità di questo intervento. Benedetto ricorda le priorità affermate all’inizio del suo pontificato, in particolare afferma: “Nel nostro tempo in cui in vaste zone della terra la fede è nel pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più nutrimento, la priorità che sta al di sopra di tutte è di rendere Dio presente in questo mondo e di aprire agli uomini l’accesso a Dio. Non ad un qualsiasi dio, ma a quel Dio che ha parlato sul Sinai; a quel Dio il cui volto riconosciamo nell’amore spinto sino alla fine (cfr Gv 13,1) – in Gesù Cristo crocifisso e risorto”.
Questa intenzione missionaria è la prima intenzione del Papa e per logica conseguenza gli sta a cuore l’unità dei cristiani, l’ecumenismo, perché la divisione impedisce una testimonianza efficace.
4. Le “stonature” della Fraternità e quelle dell’ambiente ecclesiale
Dopo questa priorità fra le intenzioni del Papa, vi sono anche le riconciliazioni piccole e medie. E il Papa si domanda, e ci domanda, se si può considerare sbagliato cercare una riconciliazione con una comunità di 491 preti, 215 seminaristi, 6 seminari e migliaia di fedeli? Non si può cercare fra le loro intenzioni “l’amore per Cristo e la volontà di annunciare Lui e con Lui il Dio vivente?”. E si chiede se “possiamo noi semplicemente escluderli, come rappresentanti di un gruppo marginale radicale, dalla ricerca della riconciliazione e dell’unità? Che ne sarà poi?”.
Il Papa non nasconde le “cose stonate” che si sono ascoltate in questi giorni da parte di rappresentanti della Fraternità, come “superbia e saccenteria, fissazione su unilateralismi”, ma aggiunge anche le “testimonianze commoventi di gratitudine, nelle quali si rendeva percepibile un’apertura dei cuori”. E aggiunge parole inusuali, drammatiche, da rileggersi continuamente perché indicative della condizione in cui si trova il Santo Padre: “A volte si ha l’impressione che la nostra società abbia bisogno di un gruppo almeno, al quale non riservare alcuna tolleranza; contro il quale poter tranquillamente scagliarsi con odio. E se qualcuno osa avvicinarglisi – in questo caso il Papa – perde anche lui il diritto alla tolleranza e può pure lui essere trattato con odio senza timore e riserbo”.
Il Papa chiede di essere aiutato?
La lettera è un documento eccezionale nel senso appunto di fuori dalla norma, anche per il linguaggio singolarmente diretto. Essa significa anzitutto quello che c’è scritto e mi auguro che venga letta da quante più persone possibili. Ma il Santo Padre sembra anche voler chiedere di più, di essere aiutato, come se fosse solo, trattato con odio anche all’interno della Chiesa ogniqualvolta fa un’affermazione non “politicamente corretta”. Non posso non ricordare il 1968, quando venne pubblicata l’enciclica di papa Paolo VI, Humanae vitae, che suscitò tanto contestazioni anche e soprattutto dentro la Chiesa perché ribadiva la dottrina di sempre sul tema della sessualità. Iniziò allora la contestazione esplicita del Magistero pontificio all’interno della Chiesa. Essa non è ancora terminata. E Benedetto XVI si trova oggi in quella drammatica solitudine in cui venne a trovarsi Paolo VI allora, quarant’anni fa.
Marco Invernizzi
La lettera, datata 10 marzo, si può leggere sul sito della Santa Sede www.vatican.va
Una lettera del Papa indirizzata a tutti i vescovi della Chiesa cattolica, con un linguaggio diretto, assolutamente chiaro ed esplicito, inusuale e assolutamente privo di ogni forma di “ecclesiastichese”. Una lettera di chiarificazione dopo tutti i malintesi sorti in seguito alla revoca della scomunica ai 4 vescovi ordinati, validamente ma senza mandato della Santa Sede, da mons. Marcel Lefebvre nel 1988.
Ecco i punti essenziali.
1. Quei cattolici che attaccano il Papa
Il sovrapporsi del “caso Williamson” con la remissione della scomunica ha fatto pensare che quest’ultima prevedesse un ritorno indietro del processo di riconciliazione fra cristiani ed ebrei cominciato col Concilio e che “fin dall’inizio era stato un obiettivo del mio personale lavoro teologico”. Ma la cosa che ha rattristato maggiormente il Pontefice è stato l’atteggiamento di quei cattolici “che in fondo avrebbero potuto sapere meglio come stanno le cose”, i quali hanno “pensato di dovermi colpire con un’ostilità pronta all’attacco”.
Dunque il Papa è consapevole dell’esistenza di cattolici pronti a utilizzare ogni occasione per attaccarlo mentre ringrazia “gli amici ebrei che hanno aiutato a togliere di mezzo prontamente il malinteso e a ristabilire l’atmosfera di amicizia e di fiducia”.
2. Siamo eredi di tutta la storia della Chiesa
E’ stato commesso l’errore di non spiegare il senso del provvedimento di revoca della scomunica. Quest’ultima colpisce le persone, non le istituzioni, e la sua revoca ha lo stesso significato della punizione, ossia “invitare i quattro Vescovi ancora una volta al ritorno”. Ma i problemi dottrinali rimangono e, fino alla loro soluzione, la Fraternità “non ha alcuno stato canonico nella Chiesa”.
Per questo bisogna distinguere l’aspetto disciplinare da quello dottrinale e allo scopo il Papa ha deciso di collegare la Pontificia Commissione Ecclesia Dei (che si occupa del ritorno alla comunione dei gruppi tradizionalisti) con la Congregazione per la Dottrina della fede.
Infatti, Benedetto XVI ricorda l’esistenza di problemi dottrinali che dovranno essere affrontati con la Fraternità sacerdotale san Pio X, soprattutto l’accettazione del Vaticano II, perché “non si può congelare l’autorità magisteriale della Chiesa all’anno 1962” e “ciò deve essere ben chiaro alla Fraternità”.
Contemporaneamente (e riecheggiando quanto scritto nel memorabile discorso alla curia romana del dicembre 2005) ricorda ai difensori del Concilio “che il Vaticano II porta in sé l’intera storia dottrinale della Chiesa” e dunque chi “vuole essere obbediente al Concilio, deve accettare la fede professata nel corso dei secoli e non può tagliare le radici di cui l’albero vive”.
3. L’intenzione missionaria di Benedetto XVI
Evidentemente qualche vescovo e i mass media hanno contestato al Papa la necessità o almeno la priorità di questo intervento. Benedetto ricorda le priorità affermate all’inizio del suo pontificato, in particolare afferma: “Nel nostro tempo in cui in vaste zone della terra la fede è nel pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più nutrimento, la priorità che sta al di sopra di tutte è di rendere Dio presente in questo mondo e di aprire agli uomini l’accesso a Dio. Non ad un qualsiasi dio, ma a quel Dio che ha parlato sul Sinai; a quel Dio il cui volto riconosciamo nell’amore spinto sino alla fine (cfr Gv 13,1) – in Gesù Cristo crocifisso e risorto”.
Questa intenzione missionaria è la prima intenzione del Papa e per logica conseguenza gli sta a cuore l’unità dei cristiani, l’ecumenismo, perché la divisione impedisce una testimonianza efficace.
4. Le “stonature” della Fraternità e quelle dell’ambiente ecclesiale
Dopo questa priorità fra le intenzioni del Papa, vi sono anche le riconciliazioni piccole e medie. E il Papa si domanda, e ci domanda, se si può considerare sbagliato cercare una riconciliazione con una comunità di 491 preti, 215 seminaristi, 6 seminari e migliaia di fedeli? Non si può cercare fra le loro intenzioni “l’amore per Cristo e la volontà di annunciare Lui e con Lui il Dio vivente?”. E si chiede se “possiamo noi semplicemente escluderli, come rappresentanti di un gruppo marginale radicale, dalla ricerca della riconciliazione e dell’unità? Che ne sarà poi?”.
Il Papa non nasconde le “cose stonate” che si sono ascoltate in questi giorni da parte di rappresentanti della Fraternità, come “superbia e saccenteria, fissazione su unilateralismi”, ma aggiunge anche le “testimonianze commoventi di gratitudine, nelle quali si rendeva percepibile un’apertura dei cuori”. E aggiunge parole inusuali, drammatiche, da rileggersi continuamente perché indicative della condizione in cui si trova il Santo Padre: “A volte si ha l’impressione che la nostra società abbia bisogno di un gruppo almeno, al quale non riservare alcuna tolleranza; contro il quale poter tranquillamente scagliarsi con odio. E se qualcuno osa avvicinarglisi – in questo caso il Papa – perde anche lui il diritto alla tolleranza e può pure lui essere trattato con odio senza timore e riserbo”.
Il Papa chiede di essere aiutato?
La lettera è un documento eccezionale nel senso appunto di fuori dalla norma, anche per il linguaggio singolarmente diretto. Essa significa anzitutto quello che c’è scritto e mi auguro che venga letta da quante più persone possibili. Ma il Santo Padre sembra anche voler chiedere di più, di essere aiutato, come se fosse solo, trattato con odio anche all’interno della Chiesa ogniqualvolta fa un’affermazione non “politicamente corretta”. Non posso non ricordare il 1968, quando venne pubblicata l’enciclica di papa Paolo VI, Humanae vitae, che suscitò tanto contestazioni anche e soprattutto dentro la Chiesa perché ribadiva la dottrina di sempre sul tema della sessualità. Iniziò allora la contestazione esplicita del Magistero pontificio all’interno della Chiesa. Essa non è ancora terminata. E Benedetto XVI si trova oggi in quella drammatica solitudine in cui venne a trovarsi Paolo VI allora, quarant’anni fa.
Marco Invernizzi
La lettera, datata 10 marzo, si può leggere sul sito della Santa Sede www.vatican.va
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