Il Papa e la natura dell’uomo
Care amiche, cari amici,
tra sabato sera e domenica pomeriggio (11.12 aprile) su Canale 5 (Tv di centro-destra?) sono andati in onda rispettivamente un’intervista a un uomo “incinto” (si dice così?) con tanto di compagna/o a fianco, già genitori di altri due figli, e una lunga intervista all’on. Paola Concia, già presidente dell’Arcilesbica, parlamentare del Partito democratico, che per oltre mezz’ora ha raccontato la sua iniziazione omosessuale e la sua decisione di convolare a nozze con la sua nuova compagna tedesca (in Germania, perché nell’Italia reazionaria guidata dal capo del governo e della Tv alla quale era stata invitata non si può ancora). La cosa ancora più sorprendente era che le due interviste erano precedute o seguite da altri personaggi miracolati da padre Pio, ad attrici particolarmente affascinanti, il tutto mischiato in una totale confusione che lasciava sconcertato il povero telespettatore. E la cosa che mi ha colpito anche di più era l’impegno delle giornaliste intervistatrici nel presentare come “normale” tutto quanto “passava” sullo schermo, saltando con noncuranza dal parto maschile alla santità e al miracolo, all’omosessualità ritenuta come condizione normale.
Questa probabilmente è l’essenza del relativismo, ossia l’assenza di giudizio, di distinzione fra vero e falso, bene e male, l’equiparazione indistinta di ogni cosa. E l’impossibilità, se non a prezzo dell’isolamento, di giudicare negativamente questa situazione, di affermare che non tutto è opinabile, modificabile, equiparabile.
Ma perché questa considerazione?
Perché credo che l’aggressione mediatica a cui la Chiesa è attualmente sottoposta (il Papa e la figura del sacerdote in particolare) rischi di confondere anche noi che crediamo di esserne immuni, perché tutto viene confuso e ogni giorno viene aperto un nuovo fronte che impedisce di approfondire e comprendere quello precedente, aggiungendo incertezza ad incertezza. Del resto, non è necessario accendere una Tv per provare questa sensazione, ma una cosa simile avviene quando si entra in una libreria (anche cattolica) e si vedono centinaia di titoli uno accanto all’altro, a prescindere dall’impostazione dell’autore: tutto e il contrario di tutto.
Nei giorni scorsi abbiamo assistito all’evocazione di questioni di enorme portata storica e dottrinale, poste una accanto all’altra come se si trattasse di vicende risolvibili con qualche battuta: la questione ebraica, quella omosessuale, quella relativa alla pedofilia. Il sottofondo ideologico a questi continui approcci giornalistici è che se non ci fosse la Chiesa con la sua intransigente pretesa di ritenere che esista una sola natura umana, il mondo sarebbe più sereno perché non scoppierebbero inutili conflitti. Se poi la Chiesa non fosse così esagerata nelle sue pretese in materia sessuale (e questo traspare anche da autori cattolici come Alberto Melloni sul “Corriere della Sera” del 14 aprile), l’umanità sarebbe indubbiamente più felice.
Allora, forse, vale la pena di chiudere i giornali e spegnere le Tv per un attimo e pensare alla posta in gioco dietro questo frastornante e continuo clamore mediatico. Anche se tutto passa attraverso la ricerca del sensazionale per vendere più copie e ottenere un aumento degli ascolti, sono due gli obiettivi: il Papa come custode e garante della Chiesa, e l’esistenza di una natura umana che implichi un giudizio negativo di ogni pretesa di fare apparire come normale ciò che è contrario alla natura dell’uomo. Perché se non c’è una natura non esiste neppure un progetto divino, ma allora non c’è neppure una meta finale di felicità nella prospettiva esistenziale dell’uomo e non c’è un Dio che accompagni e accolga la stessa esistenza umana. E se è così il Papa, ogni Papa non solo Benedetto XVI, è un ostinato e convinto capo di qualcosa, la Chiesa, che non ha motivo di esistere.
Marco Invernizzi
Care amiche, cari amici,
tra sabato sera e domenica pomeriggio (11.12 aprile) su Canale 5 (Tv di centro-destra?) sono andati in onda rispettivamente un’intervista a un uomo “incinto” (si dice così?) con tanto di compagna/o a fianco, già genitori di altri due figli, e una lunga intervista all’on. Paola Concia, già presidente dell’Arcilesbica, parlamentare del Partito democratico, che per oltre mezz’ora ha raccontato la sua iniziazione omosessuale e la sua decisione di convolare a nozze con la sua nuova compagna tedesca (in Germania, perché nell’Italia reazionaria guidata dal capo del governo e della Tv alla quale era stata invitata non si può ancora). La cosa ancora più sorprendente era che le due interviste erano precedute o seguite da altri personaggi miracolati da padre Pio, ad attrici particolarmente affascinanti, il tutto mischiato in una totale confusione che lasciava sconcertato il povero telespettatore. E la cosa che mi ha colpito anche di più era l’impegno delle giornaliste intervistatrici nel presentare come “normale” tutto quanto “passava” sullo schermo, saltando con noncuranza dal parto maschile alla santità e al miracolo, all’omosessualità ritenuta come condizione normale.
Questa probabilmente è l’essenza del relativismo, ossia l’assenza di giudizio, di distinzione fra vero e falso, bene e male, l’equiparazione indistinta di ogni cosa. E l’impossibilità, se non a prezzo dell’isolamento, di giudicare negativamente questa situazione, di affermare che non tutto è opinabile, modificabile, equiparabile.
Ma perché questa considerazione?
Perché credo che l’aggressione mediatica a cui la Chiesa è attualmente sottoposta (il Papa e la figura del sacerdote in particolare) rischi di confondere anche noi che crediamo di esserne immuni, perché tutto viene confuso e ogni giorno viene aperto un nuovo fronte che impedisce di approfondire e comprendere quello precedente, aggiungendo incertezza ad incertezza. Del resto, non è necessario accendere una Tv per provare questa sensazione, ma una cosa simile avviene quando si entra in una libreria (anche cattolica) e si vedono centinaia di titoli uno accanto all’altro, a prescindere dall’impostazione dell’autore: tutto e il contrario di tutto.
Nei giorni scorsi abbiamo assistito all’evocazione di questioni di enorme portata storica e dottrinale, poste una accanto all’altra come se si trattasse di vicende risolvibili con qualche battuta: la questione ebraica, quella omosessuale, quella relativa alla pedofilia. Il sottofondo ideologico a questi continui approcci giornalistici è che se non ci fosse la Chiesa con la sua intransigente pretesa di ritenere che esista una sola natura umana, il mondo sarebbe più sereno perché non scoppierebbero inutili conflitti. Se poi la Chiesa non fosse così esagerata nelle sue pretese in materia sessuale (e questo traspare anche da autori cattolici come Alberto Melloni sul “Corriere della Sera” del 14 aprile), l’umanità sarebbe indubbiamente più felice.
Allora, forse, vale la pena di chiudere i giornali e spegnere le Tv per un attimo e pensare alla posta in gioco dietro questo frastornante e continuo clamore mediatico. Anche se tutto passa attraverso la ricerca del sensazionale per vendere più copie e ottenere un aumento degli ascolti, sono due gli obiettivi: il Papa come custode e garante della Chiesa, e l’esistenza di una natura umana che implichi un giudizio negativo di ogni pretesa di fare apparire come normale ciò che è contrario alla natura dell’uomo. Perché se non c’è una natura non esiste neppure un progetto divino, ma allora non c’è neppure una meta finale di felicità nella prospettiva esistenziale dell’uomo e non c’è un Dio che accompagni e accolga la stessa esistenza umana. E se è così il Papa, ogni Papa non solo Benedetto XVI, è un ostinato e convinto capo di qualcosa, la Chiesa, che non ha motivo di esistere.
Marco Invernizzi
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