Segnalazione libro
E' uscito un libro importante di Gianni Baget Bozzo e Pier Paolo Saleri, Giuseppe Dossetti. La Costituzione come ideologia politica, edito da Ares. Ve ne propongo una recensione con alcune mie considerazioni.
L’opera di Baget Bozzo e Saleri contribuisce a rispondere a una domanda importante che non può essere sfuggita all’osservatore attento della storia italiana e di quella dei cattolici in particolare. E’ una domanda inerente alla Costituzione e al ruolo metapolitico che essa ha assunto in alcune figure importanti della storia del movimento cattolico, come appunto Dossetti e sulla sua scia altri, come il Presidente emerito della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro. Perché il monaco Dossetti uscì dalla sua comunità nel 1994 per fondare i comitati in difesa della Costituzione minacciata, a suo dire, dal pericolo della “discesa in campo” di Silvio Berlusconi? Perché ancora nei mesi scorsi si è verificata una rivolta di intellettuali alla sola ipotesi di una modifica di alcune parti della Costituzione? Perché ancora, una figura che nulla ha a che fare con la storia del movimento cattolico come il Presidente della Camera Gianfranco Fini ha recentemente rilanciato l’ipotesi di un “patriottismo costituzionale” per restituire un’identità agli italiani dei nostri giorni? Una Costituzione è la fonte dei princìpi che evoca oppure ne è soltanto la portavoce ed è l’organizzazione politico-giuridica del corpo sociale attorno a quei valori recepiti dal testo costituzionale?
Il libro in questione contribuisce a fare riflettere sul punto. Esso è opera a due mani e rappresenta l’ultima fatica di don Gianni Baget Bozzo, il sacerdote teologo e politologo scomparso l’8 maggio scorso che ha scritto la prima parte (Costituzione & politica), mentre la seconda (Il monaco “Principe”), più corposa, è opera di Pier Paolo Saleri, studioso della storia del movimento cattolico e protagonista, in particolare all’interno del Movimento Cristiano dei Lavoratori. Entrambi mettono al centro dei loro scritti la figura di don Dossetti e il suo particolare rapporto con la Costituzione.
La biografia culturale e politica di don Dossetti nasce all’interno del regime fascista e si arricchisce nel rapporto con l’Università Cattolica guidata dal rettore padre Agostino Gemelli. Entrambe le circostanze sono importanti nella formazione culturale del futuro vicesegretario della Dc. Infatti, una delle principali caratteristiche del pensiero di don Dossetti sarà l’importanza che attribuirà allo Stato nella costruzione della societas christiana, posizione che lo porterà al contrasto all’interno della Dc con quella non statalista e per certi aspetti liberale di Alcide De Gasperi. Il suo pensiero nasce dal tentativo di dare una risposta alla crisi della cristianità e al rapporto di quest’ultima con il mondo moderno, lo ricorda Saleri all’inizio del suo saggio, forse non approfondendo a sufficienza le differenze con il pensiero contro-rivoluzionario. La crisi viene percepita come una colpa assoluta dell’ideologia liberale e capitalista, secondo uno schema che si diffonde nel movimento cattolico intransigente già alla fine del secolo XIX. La Rivoluzione non viene interpretata come un processo, ma si attribuiscono al socialismo antiliberale elementi di positività e quindi un’opportunità anche per le forze cattoliche. Da qui nasce all’interno del movimento cattolico intransigente la posizione favorevole all’alleanza con i socialisti in funzione antiliberale e anticapitalista (tipica è la posizione di don Davide Albertario), che in qualche modo viene ripresa da padre Gemelli e che lo fa guardare con una certa simpatia, e per un certo periodo, anche al fascismo, per le sue potenzialità antiliberali.
Dossetti recepisce questa cultura della crisi e pensa di poterne uscire attribuendo allo Stato una funzione centrale, quasi volontaristica. L’esperienza della Resistenza e dell’Assemblea Costituente, poi, rappresentano il contesto politico e ideologico in cui questa cultura tende a prendere corpo, a realizzarsi. L’esito è la Costituzione della Repubblica che entra in vigore il 1° gennaio 1948. Essa non è per Dossetti soltanto il “vestito” della società uscita dall’esperienza del fascismo e ritornata all’esercizio delle libertà, ma qualcosa di molto più importante. E’ l’espressione della collaborazione fra le due grandi ideologie anticapitaliste, il cattolicesimo democratico antiliberale e il comunismo. Esse sono in competizione fra loro ma devono collaborare per “liberare” la società dalle ingiustizie provocate dal capitalismo. E lo Stato deve essere lo strumento per realizzare questa “giustizia”, secondo lo schema “virtuoso” che ricorda l’esperienza di Robespierre e del giacobinismo durante la Rivoluzione francese. In questa prospettiva culturale, la Costituzione è qualcosa di più del popolo che l’ha votata attraverso i suoi eletti in Parlamento: essa ha, per rubare le efficaci parole del magistrato Gherardo Colombo riportate da Saleri (p. 245), “la stessa funzione che in passato svolgeva il diritto naturale: come allora le leggi venivano considerate giuste (o ingiuste) a secondo della loro coincidenza (o del loro contrasto) con il diritto naturale, così oggi esse sono legittimate dalla conformità alla Costituzione”. Nasce così quello che Saleri definisce il costituzionalismo autoritario, cioè la superiorità della Costituzione sulla democrazia.
Questa posizione sta alla base della corrente di sinistra che Dossetti guida all’interno della Dc e alla quale appartengono i “professorini” della Cattolica, Fanfani e Lazzati, oltre a La Pira. Essa si oppone a De Gasperi e agli ex appartenenti al Partito Popolare che con lo statista trentino guidavano il partito, accusati di non costruire con lo Stato la società “giusta” e di aver interrotto la collaborazione con le sinistre piegandosi alle richieste americane e vaticane e dando l’economia in mano ai liberali, ma ancora di più si oppone ai Comitati Civici di Luigi Gedda. Quest’ultima posizione, che poi è quella di papa Pio XII, vorrebbe anch’essa la costruzione di una società ispirata al Vangelo e al diritto naturale, ma senza concessioni e collaborazioni con le sinistre, ritenute ben più inaffidabili e liberticide delle forze liberali e di quelle di destra. Nell’analisi delle tre posizioni allora presenti nel mondo cattolico evidenziate nel libro, forse quest’ultima avrebbe meritato maggiore spazio e attenzione, perché essa è stata sopraffatta sia dai dossettiani sia dagli ex popolari, che non sopportavano la presenza di una sorta di “sindacato” degli elettori cattolici che in qualche modo controllava l’operato del partito, ma poi storiograficamente non ha più avuto difensori, tanto da essere oggi assolutamente sconosciuta o, peggio, fraintesa: è stato scritto con realismo che i Comitati Civici sono stati un fenomeno che non conosce ancora nessuna rievocazione interpretativa, se non quella iniziata nel libro da me curato per la stessa editrice Ares, 18 aprile 1948. L’”anomalia italiana”.
In questa prospettiva, Dossetti partecipa con scarso entusiasmo alla battaglia delle elezioni del 18 aprile 1948 perché ne coglie il ruolo decisivo dei Comitati Civici e l’inevitabile esito anticomunista. Proprio questo esito lo porta a concludere che è impossibile riformare la società attraverso la politica, in quel frangente storico, perché soltanto un’azione culturale e religiosa, che porti alla “riforma” della Chiesa e del mondo cattolico, potrà anche avere effetti sulla politica. Nasce così la decisione di abbandonare la politica per dedicarsi prima alla fondazione dell’Istituto di Scienze Religiose a Bologna e poi alla fondazione di una comunità monastica, sempre nella regione emiliana. Ma la sua paternità politica nel partito continua attraverso l’opera di Fanfani, che sostituisce De Gasperi e trasforma la Dc in un partito ideologico di massa che “occupa” lo Stato per finanziarsi e non dover più dipendere dalle strutture del mondo cattolico, e attraverso quella che diventerà la corrente maggioritaria del partito, Iniziativa democratica, affidata a Mariano Rumor. Nasce il “dossettismo senza Dossetti” che influenzerà molto la politica italiana.
Ma Dossetti non abbandona la politica e continua a seguirla pur dedicandosi alla vita della Chiesa, in particolare nella diocesi di Bologna dove diventa vicario generale dell’arcivescovo Lercaro, e nell’ambito dei lavori del Concilio Vaticano II, ai quali partecipa come consultore dello stesso card. Lercaro. Baget Bozzo e Saleri mettono in luce la funzione “rivoluzionaria” avuta da Dossetti sui lavori conciliari, sventata da papa Paolo VI con la Nota praevia che ferma autoritativamente ogni deriva antipetrina nei lavori conciliari e porta a un ridimensionamento dello stesso Dossetti.
Dossetti non abbandona la politica perché la sua funzione nella vita religiosa e culturale viene sempre vissuta con la stessa volontà di cambiamento che lo aveva animato durante l’esperienza politica. Quest’ultima però conosce un ritorno a un impegno diretto in occasione della svolta epocale che la politica italiana conosce nel 1994 in conseguenza della caduta del Muro di Berlino, nel 1989, e della conseguente crisi avviata dalla magistratura con la cosiddetta “Tangentopoli”, che porta alla scomparsa per via giudiziaria dei due principali partiti della Prima Repubblica, il Psi e la Dc, e alla trasformazione del Pci in un partito democratico di sinistra, il Pds. Per gli autori si tratta di un vero colpo di Stato legale, condotto da una parte della Magistratura, che avrebbe comportato la realizzazione del “sogno” politico di Dossetti, cioè la presenza al governo delle due forze politiche antiliberali, i cattolici democratici senza più la Dc, e i comunisti senza più il retroterra ingombrante dell’Urss, che aveva reso impossibile il progetto a livello di accordi di politica internazionale. Ma un nuovo ostacolo rende impossibile la realizzazione del sogno, e si tratta di Silvio Berlusconi.
La sua discesa in campo nel 1994 e la vittoria elettorale inaspettata spingono appunto Dossetti a uscire temporaneamente dalla sua comunità monastica per salvare la Costituzione e successivamente a contribuire alla nascita dell’Ulivo, guidato da un suo discepolo, Romano Prodi. Le vittorie elettorali nel 1996 e nel 2006 delle coalizioni “dossettiane” sembrano la vittoria postuma del dossettismo, cioè appaiono come il confluire nel governo della nazione delle due ideologie alternative ai valori culturali di un’Italia anticomunista, popolare e conservatrice, legata all’Occidente e radicata nella propria identità cattolica, che aveva vinto il 18 aprile 1948. Ma il governo di Prodi fallisce e nel 2008 Berlusconi torna al governo. E con lui l’Italia moderata che Dossetti aveva sempre tentato di “superare”.
L’opera di Baget Bozzo e Saleri contribuisce a rispondere a una domanda importante che non può essere sfuggita all’osservatore attento della storia italiana e di quella dei cattolici in particolare. E’ una domanda inerente alla Costituzione e al ruolo metapolitico che essa ha assunto in alcune figure importanti della storia del movimento cattolico, come appunto Dossetti e sulla sua scia altri, come il Presidente emerito della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro. Perché il monaco Dossetti uscì dalla sua comunità nel 1994 per fondare i comitati in difesa della Costituzione minacciata, a suo dire, dal pericolo della “discesa in campo” di Silvio Berlusconi? Perché ancora nei mesi scorsi si è verificata una rivolta di intellettuali alla sola ipotesi di una modifica di alcune parti della Costituzione? Perché ancora, una figura che nulla ha a che fare con la storia del movimento cattolico come il Presidente della Camera Gianfranco Fini ha recentemente rilanciato l’ipotesi di un “patriottismo costituzionale” per restituire un’identità agli italiani dei nostri giorni? Una Costituzione è la fonte dei princìpi che evoca oppure ne è soltanto la portavoce ed è l’organizzazione politico-giuridica del corpo sociale attorno a quei valori recepiti dal testo costituzionale?
Il libro in questione contribuisce a fare riflettere sul punto. Esso è opera a due mani e rappresenta l’ultima fatica di don Gianni Baget Bozzo, il sacerdote teologo e politologo scomparso l’8 maggio scorso che ha scritto la prima parte (Costituzione & politica), mentre la seconda (Il monaco “Principe”), più corposa, è opera di Pier Paolo Saleri, studioso della storia del movimento cattolico e protagonista, in particolare all’interno del Movimento Cristiano dei Lavoratori. Entrambi mettono al centro dei loro scritti la figura di don Dossetti e il suo particolare rapporto con la Costituzione.
La biografia culturale e politica di don Dossetti nasce all’interno del regime fascista e si arricchisce nel rapporto con l’Università Cattolica guidata dal rettore padre Agostino Gemelli. Entrambe le circostanze sono importanti nella formazione culturale del futuro vicesegretario della Dc. Infatti, una delle principali caratteristiche del pensiero di don Dossetti sarà l’importanza che attribuirà allo Stato nella costruzione della societas christiana, posizione che lo porterà al contrasto all’interno della Dc con quella non statalista e per certi aspetti liberale di Alcide De Gasperi. Il suo pensiero nasce dal tentativo di dare una risposta alla crisi della cristianità e al rapporto di quest’ultima con il mondo moderno, lo ricorda Saleri all’inizio del suo saggio, forse non approfondendo a sufficienza le differenze con il pensiero contro-rivoluzionario. La crisi viene percepita come una colpa assoluta dell’ideologia liberale e capitalista, secondo uno schema che si diffonde nel movimento cattolico intransigente già alla fine del secolo XIX. La Rivoluzione non viene interpretata come un processo, ma si attribuiscono al socialismo antiliberale elementi di positività e quindi un’opportunità anche per le forze cattoliche. Da qui nasce all’interno del movimento cattolico intransigente la posizione favorevole all’alleanza con i socialisti in funzione antiliberale e anticapitalista (tipica è la posizione di don Davide Albertario), che in qualche modo viene ripresa da padre Gemelli e che lo fa guardare con una certa simpatia, e per un certo periodo, anche al fascismo, per le sue potenzialità antiliberali.
Dossetti recepisce questa cultura della crisi e pensa di poterne uscire attribuendo allo Stato una funzione centrale, quasi volontaristica. L’esperienza della Resistenza e dell’Assemblea Costituente, poi, rappresentano il contesto politico e ideologico in cui questa cultura tende a prendere corpo, a realizzarsi. L’esito è la Costituzione della Repubblica che entra in vigore il 1° gennaio 1948. Essa non è per Dossetti soltanto il “vestito” della società uscita dall’esperienza del fascismo e ritornata all’esercizio delle libertà, ma qualcosa di molto più importante. E’ l’espressione della collaborazione fra le due grandi ideologie anticapitaliste, il cattolicesimo democratico antiliberale e il comunismo. Esse sono in competizione fra loro ma devono collaborare per “liberare” la società dalle ingiustizie provocate dal capitalismo. E lo Stato deve essere lo strumento per realizzare questa “giustizia”, secondo lo schema “virtuoso” che ricorda l’esperienza di Robespierre e del giacobinismo durante la Rivoluzione francese. In questa prospettiva culturale, la Costituzione è qualcosa di più del popolo che l’ha votata attraverso i suoi eletti in Parlamento: essa ha, per rubare le efficaci parole del magistrato Gherardo Colombo riportate da Saleri (p. 245), “la stessa funzione che in passato svolgeva il diritto naturale: come allora le leggi venivano considerate giuste (o ingiuste) a secondo della loro coincidenza (o del loro contrasto) con il diritto naturale, così oggi esse sono legittimate dalla conformità alla Costituzione”. Nasce così quello che Saleri definisce il costituzionalismo autoritario, cioè la superiorità della Costituzione sulla democrazia.
Questa posizione sta alla base della corrente di sinistra che Dossetti guida all’interno della Dc e alla quale appartengono i “professorini” della Cattolica, Fanfani e Lazzati, oltre a La Pira. Essa si oppone a De Gasperi e agli ex appartenenti al Partito Popolare che con lo statista trentino guidavano il partito, accusati di non costruire con lo Stato la società “giusta” e di aver interrotto la collaborazione con le sinistre piegandosi alle richieste americane e vaticane e dando l’economia in mano ai liberali, ma ancora di più si oppone ai Comitati Civici di Luigi Gedda. Quest’ultima posizione, che poi è quella di papa Pio XII, vorrebbe anch’essa la costruzione di una società ispirata al Vangelo e al diritto naturale, ma senza concessioni e collaborazioni con le sinistre, ritenute ben più inaffidabili e liberticide delle forze liberali e di quelle di destra. Nell’analisi delle tre posizioni allora presenti nel mondo cattolico evidenziate nel libro, forse quest’ultima avrebbe meritato maggiore spazio e attenzione, perché essa è stata sopraffatta sia dai dossettiani sia dagli ex popolari, che non sopportavano la presenza di una sorta di “sindacato” degli elettori cattolici che in qualche modo controllava l’operato del partito, ma poi storiograficamente non ha più avuto difensori, tanto da essere oggi assolutamente sconosciuta o, peggio, fraintesa: è stato scritto con realismo che i Comitati Civici sono stati un fenomeno che non conosce ancora nessuna rievocazione interpretativa, se non quella iniziata nel libro da me curato per la stessa editrice Ares, 18 aprile 1948. L’”anomalia italiana”.
In questa prospettiva, Dossetti partecipa con scarso entusiasmo alla battaglia delle elezioni del 18 aprile 1948 perché ne coglie il ruolo decisivo dei Comitati Civici e l’inevitabile esito anticomunista. Proprio questo esito lo porta a concludere che è impossibile riformare la società attraverso la politica, in quel frangente storico, perché soltanto un’azione culturale e religiosa, che porti alla “riforma” della Chiesa e del mondo cattolico, potrà anche avere effetti sulla politica. Nasce così la decisione di abbandonare la politica per dedicarsi prima alla fondazione dell’Istituto di Scienze Religiose a Bologna e poi alla fondazione di una comunità monastica, sempre nella regione emiliana. Ma la sua paternità politica nel partito continua attraverso l’opera di Fanfani, che sostituisce De Gasperi e trasforma la Dc in un partito ideologico di massa che “occupa” lo Stato per finanziarsi e non dover più dipendere dalle strutture del mondo cattolico, e attraverso quella che diventerà la corrente maggioritaria del partito, Iniziativa democratica, affidata a Mariano Rumor. Nasce il “dossettismo senza Dossetti” che influenzerà molto la politica italiana.
Ma Dossetti non abbandona la politica e continua a seguirla pur dedicandosi alla vita della Chiesa, in particolare nella diocesi di Bologna dove diventa vicario generale dell’arcivescovo Lercaro, e nell’ambito dei lavori del Concilio Vaticano II, ai quali partecipa come consultore dello stesso card. Lercaro. Baget Bozzo e Saleri mettono in luce la funzione “rivoluzionaria” avuta da Dossetti sui lavori conciliari, sventata da papa Paolo VI con la Nota praevia che ferma autoritativamente ogni deriva antipetrina nei lavori conciliari e porta a un ridimensionamento dello stesso Dossetti.
Dossetti non abbandona la politica perché la sua funzione nella vita religiosa e culturale viene sempre vissuta con la stessa volontà di cambiamento che lo aveva animato durante l’esperienza politica. Quest’ultima però conosce un ritorno a un impegno diretto in occasione della svolta epocale che la politica italiana conosce nel 1994 in conseguenza della caduta del Muro di Berlino, nel 1989, e della conseguente crisi avviata dalla magistratura con la cosiddetta “Tangentopoli”, che porta alla scomparsa per via giudiziaria dei due principali partiti della Prima Repubblica, il Psi e la Dc, e alla trasformazione del Pci in un partito democratico di sinistra, il Pds. Per gli autori si tratta di un vero colpo di Stato legale, condotto da una parte della Magistratura, che avrebbe comportato la realizzazione del “sogno” politico di Dossetti, cioè la presenza al governo delle due forze politiche antiliberali, i cattolici democratici senza più la Dc, e i comunisti senza più il retroterra ingombrante dell’Urss, che aveva reso impossibile il progetto a livello di accordi di politica internazionale. Ma un nuovo ostacolo rende impossibile la realizzazione del sogno, e si tratta di Silvio Berlusconi.
La sua discesa in campo nel 1994 e la vittoria elettorale inaspettata spingono appunto Dossetti a uscire temporaneamente dalla sua comunità monastica per salvare la Costituzione e successivamente a contribuire alla nascita dell’Ulivo, guidato da un suo discepolo, Romano Prodi. Le vittorie elettorali nel 1996 e nel 2006 delle coalizioni “dossettiane” sembrano la vittoria postuma del dossettismo, cioè appaiono come il confluire nel governo della nazione delle due ideologie alternative ai valori culturali di un’Italia anticomunista, popolare e conservatrice, legata all’Occidente e radicata nella propria identità cattolica, che aveva vinto il 18 aprile 1948. Ma il governo di Prodi fallisce e nel 2008 Berlusconi torna al governo. E con lui l’Italia moderata che Dossetti aveva sempre tentato di “superare”.
Marco Invernizzi
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